Fantasmi del mare

Fantasmi del mare: prime riflessioni sull’8 settembre (1948)

                                                 “Ad atti di forza reagire con atti di forza”
                                     Dispaccio telefonico di Superesercito (9 settembre 1943, ore 0.45)

Nel dopoguerra Francesco De Robertis, dopo un opportuno silenzio volto a far dimenticare la propria adesione al cinevillaggio della RSI, torna a girare firmando con il pregevole Fantasmi del mare (ottobre 1948, 105 min.) la prima compiuta riflessione sui tragici avvenimenti dell’8 settembre.
In quei giorni a Pola una corazzata (ci si riferisce alla Giulio Cesare che si trovava nel porto istriano l’8 settembre e da lì partì per Malta il giorno seguente) guidata da un integerrimo comandante (Nicola Morabito) - nel quale, a tutti gli effetti, si identifica l’autore - si trova in una situazione scottante: lasciato senza ordini, egli è costretto a prendere il largo con tutti i marinai presenti nella cittadina dalmata al fine di evitare che le sopraggiungenti forze tedesche avviino una disastrosa battaglia nella cittadina (causando inutili perdite civili) al fine di prendere il controllo delle navi presenti nel porto (gli scontri ci furono realmente, anche se di modesta entità; i tedeschi stabilirono il completo controllo di Pola l’11 settembre).
Al largo però la situazione va solo peggiorando: dai comandi di Pola e Venezia non giungono indicazioni precise e ci si limita a inviare un ambiguo ordine nel quale si afferma di adoperarsi per il bene della nazione. Intanto a bordo scoppia una mezza sommossa: parte dei marinai, convinti di essere diretti a Venezia (o comunque al nord) e di poter sbarcare per ricongiungersi alle proprie famiglie (la guerra si reputa finita... ), si ribellano all’idea di andare verso sud a consegnarsi agli Inglesi (cosa che avvenne, il 10 settembre a Malta, per la maggior parte della marina regia) poiché ciò avrebbe significato una probabile permanenza, lunga in campi di prigionia. Tra i ribelli ci sono anche coloro che operano per “l’onore d’Italia”, in una logica che preannuncia la nascita della RSI: costoro, non a caso guidati dal figlio del comandante, vogliono fermarsi subito, affondare la nave (per non consegnarla ad alcuno) e, in seguito, riprendere la via dei combattimenti.
Il comandante rassicura gli agitati marinai: anch’egli intende operare in quella direzione. Nel frattempo la situazione precipita: aerei tedeschi attaccano la nave e la colpiscono gravemente (evidente il riferimento alla corazzata Roma, attaccata e affondata dalla Luftwaffe nel mar Tirreno, il 9 settembre). Durante l’attacco muoiono il comandante, suo figlio e un gruppo di giovani e leali soldati di cui avevamo seguito i quotidiani vagabondaggi a Pola (nella prima parte del film) tra giovani innamorati, padri sul punto di sposarsi e ragazzi zelanti decisi a diventare ad ogni costo buoni marinai. Su questo straziante evento De Robertis termina la narrazione, peraltro organizzata come un lungo flashback di un anziano ufficiale (il bravo Raf Pindi), lasciando incompleto il racconto riguardo al destino della corazzata e del suo equipaggio (la Giulio Cesare - alla quale come si è detto il film fa riferimento - approderà a Malta l’11 settembre).
Nella realtà storica a Pola l’8 settembre c’erano numerose navi (oltre la corazzata Giulio Cesare): il loro destino sarà assai differenziato. Alcune si autoaffonderanno (il sommergibile Serpente), altre verranno attaccate dai tedeschi mentre cercano di raggiungere altri porti italiani (ad esempio il piroscafo Eridania e la cannoniera Aurora; a questi eventi si ispira il racconto di De Robertis); altre finiranno direttamente nelle mani degli ex alleati.
Con il suo ben noto stile austero e asciutto De Robertis ripete gli esiti migliori dei suoi film della tetralogia bellica (Uomini sul fondo, 1941; Alfa Tau!, 1942; Uomini e cieli, 1943 ma uscito nel 1947; Marinai senza stelle, 1943 uscito addiruttura nel 1949, dopo questi Fantasmi), con particolare riferimento ad Alfa Tau! nel carattere corale delle vicende narrate (differenti percorsi individuali trovano unitaria, tragica conclusione nell’allagamento forzato di un locale della nave colpita da un aereosilurante) e a Uomini sul fondo per la parte ambientata sulla corazzata, dove un gruppo di uomini lotta per la propria sopravvivenza in un contesto di estremo pericolo. Ai toni gentili della prima parte, ambientata tra una Pola immaginaria (tutta in interni ovviamente, essendo la cittadina passata alla Jugoslavia di Tito) e i locali della nave, fa riscontro una seconda parte nella quale assistiamo a un crescendo drammatico che trova il prorpio apice nella battaglia finale. L’evidente povertà di mezzi non permette all’autore gli affascinanti squarci marini presenti nelle opere precedenti; ciononostante un montaggio serrato, un uso espressivo dei primi piani, un disegno preciso delle singole, differenti psicologie e dialoghi ineccepibili tengono desta l’attenzione ed evitano che si colga il dato piuttosto “teatrale” dell’insieme.
Come sempre De Robertis utilizza volti anonimi e (in larga parte) attori non professionisti così da conferire maggiore verosimiglianza e un tono più crudamente documentario a tutta la vicenda. Si è già detto più volte che il cosiddeto neorealismo non ha fatto altro che copiare i dati stilistici di Uomini sul fondo. Ma quello che maggiormente colpisce in quest’opera sincera e rimarchevole è che si tratta della prima riflessione intorno al dramma dell’8 settembre, una riflessione dolente e al tempo stesso serena, consapevole dei limiti del popolo italiano e delle colpe dei Savoia. L’autore mostra soprattutto le terrificanti conseguenze relative alla totale mancanza di ordini da parte degli Stati maggiori e in definitiva della corona (il film - pur senza mai nominare i Savoia - è ferocemente antimonarchico, in ciò collocandosi nel solco dell’esperienza della RSI, opinabile per molti aspetti ma anche necessaria per altri). Quella corazzata lasciata in balia degli eventi, su un mare Adriatico nel quale, a questo punto, i potenziali nemici si sono moltiplicati (Tedeschi a nord; Inglesi a sud), è il simbolo evidente di una nazione allo sbando, priva di guida a causa di una classe dirigente ambigua e timorosa, la quale pue di salvare la propria continuità politica (Brindisi e il regno del Sud) non esita a sacrificare migliaia di Italiani che avevano - fino a quel momento - servito con dedizione gli interessi dello stato. De Robertis contempla con calma ineffabile e con evidente rimpianto le peripezie di un popolo che, lasciato senza guida, si sfalda in troppi rivoli: c’è chi è confuso, chi vuole solo tornare a casa e finirla con tutto, chi medita di proseguire la lotta contro gli angloamericani e infine chi semplicemente attende gli ordini, in omaggio alla tradizionale catena di comando. Il rifiuto di ogni fanatismo estremo e l’intelligente capacità di negoziare e di mediare, tipiche del popolo italiano, in situazioni come quella del crollo dell’8 settembre, vengono annichilite; al loro posto prende piede una sorta di disperazione collettiva nella quale ognuno, a seconda del proprio genio, cerca una personale via d’uscita.
Il “neorealismo” si era ben guardato dal trattare il problema dell’armistizio e delle sue conseguenze (lo farà solo dodici anni, dopo con l’efficace ma tardivo Tutti a casa, Comencini, 1960), essendo troppo impegnato a raccontare gli episodi della Resistenza (ovvero di una sola fazione in lotta) e della naturale miseria del dopoguerra. E’ dunque compito di De Robertis, lucido narratore delle cose italiane viste attraverso il significativo specchio delle vicende belliche, offrire - a soli cinque anni dagli eventi - la prima riflessione intorno all’8 settembre. In essa - in quella nave allo sbando nell’Adriatico - si può cogliere la visione politica netta e priva di infingimenti di chi contempla la dissoluzione di una realtà nazionale (ovviamente quella iniziata nel 1861 e non tanto quella fascista). Ciò che seguirà, sembra suggerire il narratore, sarà comunque un’altra cosa.
Il pubblico, come prevedibile, diserta le sale: ben pochi, nell’indaffarata Italia della ricostruzione, hanno voglia di ricordare quei sanguinosi giorni e di riflettere sulla fragile consistenza della coscienza nazionale italiana. Su quella fragilità cercheranno di far leva - fortunatamente senza successo - il terrorismo degli anni settanta e il leghismo secessionista degli anni novanta.