La produzione musicale

La produzione musicale

È frequente trovare nei testi di storia della musica la distinzione tra musica di corte settecentesca e musica romantica dell’Ottocento spiegata come differenza tra le creazioni “su commissione” e le creazioni nate nell’ambito di un’urgenza espressiva, le prime concepite per ornare le eleganti residenze aristocratiche, le seconde destinate alle pubbliche sale da concerto e ai tranquilli salotti boghesi. Si allude spesso al trapasso tra Settecento e Ottocento come a un passaggio dall’arte servile all’arte libera e finalmente accolta su basi “meritocratiche” da un pubblico vasto e universale. Si tratta però di stereotipi che non reggono a un'analisi approfondita.
Gli ultimi tre grandi autori legati all’universo delle corti e dell’aristocrazia, Haydn, Mozart e Beethoven, la cui musica era intrisa di valori liberali e umanitari, poterono avvalersi di imponenti appoggi in ambito nobiliare e di legami con i maggiori editori dell’epoca, all’interno di precise cerchie massoniche (Haydn e Mozart aderirono alla Massoneria e probabilmente, in segreto, anche Beethoven) e - nel caso del salisburghese - addirittura della protezione dell’imperatore Giuseppe II. Sulla base di questa favorevole situazione la loro musica poté diffondersi nell’impero asburgico, in Germania, in Francia e in Inghilterra ottenendo vasti e peraltro adeguati riconoscimenti. Di contro i due principali autori del primo Romanticismo austrotedesco, Franz Schubert e Rober Schumann, a causa dei loro “appartati” percorsi biografici, non poterono avvalersi di alcun appoggio, non ebbero amicizie importanti, non aderirono (per quanto noto) a logge massoniche, non si impegnarono apertamente nell’ambito di un discorso sonoro con venature sociali e politiche, e quindi la loro musica circolò con estrema fatica ed essi non fruirono di alcun significativo riconoscimento da parte del grande pubblico (clamorosa - in questo senso - la sordità viennese alle opere di Schumann). Per entrambi la scoperta del loro valore prenderà corpo solo dopo la morte, attraverso una graduale e, col tempo, sistematica riesumazione postuma.
In particolare - come spiegato nel racconto biografico - i lavori di Schumann erano noti solo al pubblico musicale della Sassonia e raramente furono eseguiti altrove; anche autori popolari come Mendelssohn e Liszt, ai quali il musicista di Zwickau era legato da sincera amicizia, non fecero molto per diffondere i capolavori del compositore sassone. È emblematico di tale situazione sconfortante il fatto che, per alcune settimane del marzo 1842, Schumann abbia coltivato il progetto di trasferirsi in America; parlando a Clara scriveva al riguardo nel diario: “Bisogna assolutamente che troviamo il modo di utilizzare e sviluppare parallelamente i nostri talenti. Sto pensando all’America. Una decisione terribile. Ma sono convinto che ne varrebbe la pena... C’è così poco che ci lega qui. Solo il pensiero di Marie, che dovremmo lasciare a casa, è insopportabile. Ma sarebbe anche per il suo bene, per assicurarle un futuro migliore”. Sono le parole di un artista che - per quanto orgogliosamente tedesco - ammette la mancanza di radicamento della propria musica in Germania.
Giustamente scriveva Beethoven, in fondo parlando di se stesso e della propria posizione privilegiata: “Deve essere il fine e l’aspirazione di ogni vero artista di procurarsi una posizione in cui, non infastidito da altri compiti o da preoccupazioni economiche, possa votarsi alla composizione di grandi opere da offrire al pubblico”. Se l’intendimento suona saggio e giusto, nella realtà quotidiana esso diviene quasi un miraggio per i comuni mortali, anche quando dotati di grande talento, come dimostrano le biografie di Schubert, Schumann e di numerosi altri artisti dell’era romantica.
Dunque l’era romantica come era della libertà creativa e del successo acquisito attraverso la mera diffusione delle composizioni presso un pubblico competente è, in larga parte, un’utopia. Negli anni trenta e quaranta, mentre nascevano i grandi lavori per tastiera e i magnifici Lieder di Schumann, la Germania applaudiva soprattutto i virtuosi come Mendelssohn, Moscheles e Hummel il cui enorme vantaggio, rispetto a Schumann, era di svolgere una brillante carriera di pianisti e direttori d’orchestra; invece Wagner, per assicurarsi un sufficiente decoro, era costretto a vestire nuovamente i panni del settecentesco Kapellmeister presso la corte di Dresda. Come già notato, la concertista Clara era in grado di guadagnare molto più del marito e perfino il futuro suocero, consapevole del valore delle creazioni del giovane Robert, diffidava della sua capacità di affermarsi nel mondo musicale e, di conseguenza, non lo credeva capace di potere mantenere in modo dignitoso la figlia; per tali motivi egli si oppose con ogni mezzo alle loro nozze. Il tempo ha fatto giustizia; tuttavia l’esistenza di Schumann è stata amareggiata dalla materiale impossibilità di fare conoscere al grande pubblico europeo le proprie creazioni musicali.

Stile classico e Romanticismo

Haydn, Mozart, Beethoven e in generale i compositori della seconda metà del Settecento e dei primi due decenni dell’Ottocento si erano attenuti, senza eccezioni, ai canoni della forma-sonata, dell’aria e della danza tripartita (ABA) e infine del Rondò (schema ABA-C-ABA’). Queste strutture formali, estremamente controllate e severe, caratterizzavano tutte le principali forme strumentali, dalla sinfonia al quartetto, dalla sonata pianistica al concerto solistico. In esse particolare e generale coincidevano: l’attento equilibrio formale dell’insieme - equilibrio basato sulla creazione di tensioni melodico-armoniche, tutte opportunamente risolte - si rifletteva nella stessa concezione del singolo tema, anch’esso segnato da una prevedibile alternanza di tensione e distensione. Il Tutto si rispecchiava nel Particolare, così come dal dettaglio si poteva indurre la concezione globale dell’opera. Con le partiture del compositore di Bonn, però, l’energia immessa nel sistema, le laceranti dissonanze e la ricchezza armonica avevano messo pericolosamente in forse l’edificio, senza tuttavia distruggerlo. Beethoven era pur sempre l’ultimo dei classici.
D’altronde proprio da Beethoven, dalle sue numerose libertà, dal suo particolare “autobiografismo” musicale parte il generale movimento romantico e Schumann in particolare. Le possibilità espressive insite nelle vecchie forme mozartiane appaiono eaurite ai giovani della nuova generazione, i quali decidono innanzitutto una presa di posizione “negativa”: essi proclamano che quei canoni hanno fatto il loro tempo e che ciascun compositore deve ora avviarsi verso concezioni globali inedite, coerenti con il proprio materiale musicale e soprattutto con la propria “urgenza espressiva”. Niente formule generali valide per tutti, quindi, nel primo Romanticismo, bensì solo alcune regole formali, prima tra tutte quella per cui ogni struttura formale è possibile, purché sostenuta da un’articolazione fantasiosa e intensa del materiale sonoro.
Schumann è il vero teorico del nuovo corso laddove dichiara che la scrittura deve fermarsi là dove termina l’ispirazione; egli, con fare orgoglioso, afferma: “Ho ben studiato Gluck e Händel e Bach. E allora? Come se non vi fosse che una forma o due, a cui dovessero piegarsi tutte le creazioni dello spirito! Come se ogni pensiero non portasse con sé, nascendo, la propria forma”.
Nel frattempo le armonie si fanno gradualmente più complesse, finendo con il rendere sempre meno percepibile il centro tonale (si pensi ai lavori - tanto differenti ma simili quanto a originalità armonica - di Chopin, Liszt e Wagner) mentre la compagine orchestrale si amplia a dismisura (si vedano le ardite partiture di Berlioz), permettendo alchimie sonore fino a quel momento impensabili. La musica romantica si è messa dunque in cammino verso l’ignoto come dimostreranno, più tardi, le disparate e spesso sorprendenti mete novecentesche - una vera e propria Babele di lingue - non tutte ugualmente encomiabili.