Blackmail e Murder!

Blackmail, Juno and the Peacock, Murder!, The Skin Game, Rich and Strange, Number Seventeen e Waltzes from Vienna: prime pellicole sonore (1929-34)

              “Non mi piacciono molto i whodunit: mi ricordano
              i giochi di pazienza o i cruciverba. Si attende
              tranquillamente la risposta alla domanda:
              chi è l’assassino? Nessuna emozione”
              Hitchcock intervistato da Truffaut (1968)

Blackmail (giu 1929, 85 min; ined. in Italia) è il primo film sonoro di Hitchcock e una delle prime pellicole parlate della cinematografia inglese (esiste anche una versione muta, approntata per le numerose sale che non erano in grado di proiettare il nuovo tipo di film). Per l’occasione il regista sceglie un soggetto poliziesco, tratto dalla commedia omonima (1928) di Charles Bennett, così da poter tornare alle predilette atmosfere di The Lodger. In tal modo l’autore si garantisce sia lo spazio per sequenze di grande tensione, sia ricchi dialoghi con cui valorizzare il nuovo mezzo espressivo. L’esito è un film ibrido e insoddisfacente in cui risaltano alcuni episodi ma risulta carente l’impianto generale.
La capricciosa Alice (Anny Ondra) litiga con il fidanzato poliziotto Frank (John Longden) per poter uscire con un misterioso pittore che la corteggia. Giunta nel suo atelier la ragazza provoca il partner che la forza ad un rapporto sessuale. La giovane, per difendersi, lo uccide. Poi fugge. Un vagabondo che sa, la ricatta: Alice, spalleggiata (nonostante tutto) da Frank, riesce a farla franca. Verrà incolpato proprio il ricattatore.
Il testo originario di Bennett, diviso in tre atti, viene solo in parte rispettato. Il primo atto coincide con l’episodio delittuoso; nel testo però Alice non torna a casa a dormire, destando l’inquietudine dei genitori, mentre nel film la medesima situazione è abilmente mascherata dalla protagonista che finge di risvegliarsi nel proprio letto. Il secondo atto coincide con il lungo e stucchevole episodio del ricattatore nel negozio dei genitori. Il terzo atto, invece, viene totalmente modificato per inserire una conclusione spettacolare, degna del mezzo cinematografico. Così Hitchcock si inventa la movimentata e magnifica sequenza dell’inseguimento al British Museum - evidente anticipazione degli episodi simili ambientati all’interno della Statua della libertà (Saboteur, 1942;vedi) e sul monte Rushmore (North by Northwest, 1959; vedi) - che termina con la morte accidentale del ricattatore. Nella commedia teatrale invece non ci sono altri cadaveri e la polizia conclude che il pittore è morto accidentalmente, cadendo sul proprio coltello...
La pellicola è altalenante: la prima parte, incentrata sull’avventura notturna di Alice e sul suo tragico finale è girata con lo stile del muto, tra lungaggini, mimiche smarrite e immagini attentamente costruite. Le parte successiva, relativa alle gesta del goffo ricattatore, è invece verbosa e molto teatrale. Entrambe le sezioni sono prolisse e poco entusiasmanti seppur econtengano momenti di notevole intensità. La suspense riguarda Alice, protagonista assoluta, descritta come un’oca scivolata, senza rendersene conto, in una trappola mortale: il suo gesto viene descritto come una legittima difesa e la giovane, relativamente “innocente”, viene descritta come minacciata da un viscido ricattatore. Dopo il trauma Alice viene mostrata costantemente “in trance”, prigioniera di un ricordo angoscioso, secondo modalità tipiche del cinema muto (l’attenzione insistente alla mimica spaventata della protagonista) che appaiono oggi decisamente ripetitive e teatrali.
Nell’insieme il film appare poco riuscito: chi è realmente Alice? perchè cede alle lusinghe del primo venuto? Impossibile essere in tensione per una figura tanto sfocata che si è messa nei guai da sola, senza un preciso motivo. Il personaggio si colloca nel solco delle tante figure femminili dipinte con evidente misoginia dal regista. In questo caso però Alice è addirittura la protagonista e questo danneggia il film nel suo complesso. Anche gli altri personaggi del racconto sono abbastanza generici, per non dire altamente inverosimili: un fidanzato troppo remissivo, un ricattatore troppo chiacchierone, un gruppo di poliziotti poco perspicaci.Al contrario Hitchcock ritrae con grande efficacia gli esterni londinesi, soprattutto quelli relativi al vagabondaggio notturno di Alice dopo il delitto, ambientati in una città deserta e grigia.
In Inghilterra Blackmail riscosse un enorme successo e venne proiettato anche negli Usa (ott.1929). Ciononostante il film non venne distribuito in Italia negli anni trenta (e neppure dopo).

Il secondo film sonoro, Juno and the Peacock (dic. 1929; 100 min.; ined. in Italia) è la scolastica e irrilevante trasposizione in immagini dell’omonimo testo teatrale (1924) dello scrittore irlandese Sean O’Casey che racconta le peripezie della famiglia Boyle negli anni della guerra civile a Dublino. Il marito si pavoneggia raccontando storie eccentriche, la giunonica moglie lo tiene a bada con piglio energico, la figlia rimane incinta per sbaglio mentre il figlio finirà ucciso per le vie della città.
Hitchcock, che racconta candidamente a Truffaut di avere girato di malavoglia questo film e di essersene poi vergognato, non tenta neppure di rendere cinematografico questo testo verboso e ripetitivo, popolato di personaggi poco interessanti e ambientato quasi interamente tra le mura della modesta abitazione dei Boyle. Nel tentativo di animare la storia c’è poi, al centro, l’episodio di una presunta eredità che galvanizza marito e moglie ma che si rivelerà inesistente.

Com Murder! (lug. 1930; 100 min.; ined. in Italia) Hitchcock si cimenta nuovamente con il poliziesco ma lo fa scegliendo un verboso romanzo - Enter Sir John (1928) di Clemence Dane e Helen Simpson - al quale è obbligato ad attenersi con esiti modesti.
L’attrice Diana (Norah Baring) viene trovata come in trance di fronte al cadavere della collega Edna. Arrestata si proclama innocente ma viene condannata a morte. Un altro attore, sir John (Herbert Marshall), presente nella giuria (nel romanzo era un semplice spettatore del procedimento giudiziario), non è convinto, indaga e scopre che il vero assassino è un omosessuale (Esme Percy) che recitava nella stessa compagnia della vittima.
Il soggetto è certamente consono all’autore il quale tuttavia lo sviluppa in modo indeciso e generico. Nella prima parte il film possiede carattere “giudiziario” (a tratti sembra un’anticipazione di La parola ai giurati, Lumet, 1957); poi diviene un whodunit nel solco di Conan Doyle e Agatha Christie, sebbene svolto attraverso una lunga serie di duetti verbali i quali si snodano senza sorprese, inquadrando quasi subito la figura del colpevole. Insomma non c’è alcuna indecisione al riguardo, nè alcuna gara tra autore e spettatore, tipica di quel genere letterario. Peraltro sull’intero lavoro aleggia il tema chiave della futura filmografia hitchcockiana, quello del falso colevole (peraltro già trattato in The Lodger e Blackmail), senza che esso divenga mai determinante (la protagonista, chiusa in galera, è presente più nei dialoghi che di persona).
Murder! è insomma un’opera minore, di transizione, girata con una certa vivacità e ben interpretata dagli attori; pur tra numerose lungaggini - gli interminabili dialoghi - tipiche di questa fase del cinema sonoro, rimane un reperto d’epoca piacevole e di un certo interesse.

La pellicola successiva, The Skin Game (feb. 1931; 85 min.; ined. in Italia), tratta dall’omonima, verbosa commedia teatrale (1921) di John Galsworthy, non offre elementi di interesse, limitandosi ad un elegante teatro fotografato. Vi si racconta la rivalità tra due famiglie di proprietari terrieri: gli Hillcrest e gli Hornblower. L’una delle due arriva a ricattare l’altra quando scopre che la giovane nuora degli Hornblower ha un passato ambiguo e poco rispettabile. Il dramma precipita così in tragedia.
Il film è senza importanza nel curriculum hitchcockiano e lo stesso autore ha sempre parlato del lavoro come di un evento occasionale.

Agli antipodi si colloca Rich and Strange (giu. 1932; 90 min.; ined. in Italia) poichè, in esso, al chiuso delle abitazioni tipiche dei testi teatrali si sostituisce l’aperto di scenari esotici africani (Port Said) e asiatici (Colombo, Sri Lanka). Tuttavia il risultato è deprimente quanto quelli ottenuti nelle trascrizioni letterarie.
La vicenda è un semplice pretesto per inaugurare il cosiddetto film turistico ovvero quel cinema in cui gli spettatori possono visionare scenari ignoti e pittoreschi mentre seguono una storiella senza spessore. La vicenda è quella di una coppia annoiata dalla routine londinese che decide di fare un giro intorno al mondo. Nella lunga crocera ciascuno inizierà una relazione con un nuovo partner per poi tornare, deluso, al legittimo consorte. Anche il viaggio comporta una serie di scomodità e pericoli che permette di rivalutare la pace domestica, per quanto grigia.
Temi e personaggi sono banali e sfocati mentre anche la parte “turistica” offre un certo numero di scorci (generali e particolari) senza riuscire ad essere sufficientemente incisiva e sorprendente
La pellicola fu un fiasco.

Stessa sorte caratterizza il successivo Number Seventeen (nov.1932; solo 63 min; ined. in Italia), un confuso racconto di guardie e ladri organizzato nella prima parte come una recita teatrale e nella seconda come un lungo inseguimento tra un convoglio ferroviario e un autobus.
A Londra, in uno stabile abbandonato (situato al civico 17 del titolo), durante una lunga nottata, si ritrovano uan serie di misteriosi personaggi che si affrontano senza risparmio di colpi: tutti cercano una preziosa collana di diamanti. Poi il gruppo di ladri fugge su un treno merci (diretto in Germania) che finirà con lo schiantarsi su un traghetto. Nel finale il poliziotto (John Stuart)  di turno (che operava sotto falso nome) arresta i colevoli e sposa la bella.
Il soggetto, quanto mai ingarbugliato e noioso, viene imposto a Hitchcock che lo realizza controvoglia, interessandosi soprattutto all’episodio spettacolare dell’inseguimento. Tutte le figure del racconto sono stereotipi fumettistici il cui vano agitarsi sulla scena non coinvolge in alcun modo lo spettatore.

Due anni dopo Hitchcock gira Waltzes from Vienna (1934; 85 min.; tit. it. La Vienna di Strauss, ott.1934), uno stereotipato musical che narra il noto dissidio tra Johann Strauss padre e Johann Strauss figlio nella Vienna degli anni quaranta dell’Ottocento. Tra amori proibiti e concerti galanti, Johann figlio mette faticosamente a fuoco la sua prima composizione importante ovvero il celebre valzer Sul Danubio blu (composto in realtà nel 1867) con il quale stupisce tutti e convince il riluttante padre che è anch’egli un valido compositore.
Il film è anonimo, segue il gusto dell’epoca e viene gitrato dal regista inglese - tanto per cambiare - di malavoglia. Nulla nella pellicola mostra il talento, già evidente, dell’autore di Blackmail. In questi film biografici degli anni trenta, quaranta e cinquanta il rispetto della verità storica è del tutto assente; tale grave trascuratezza riconferma lo spettacolo cienmatografico quale prodotto sostanzialemente destinato alle classi più popolari e ingenue (almeno fino agli anni sessanta).
In definitiva questa prima metà degli anni trenta ci propone un Hitchcock opaco, disponibile a progetti di differente tipo e valore e ancora alla ricerca di una propria definitiva cifra stilistica.

testo scritto nel set. 2016