Myslivecek e Mozart: stranieri in Italia
“Più di un musicista e più di un musicolgo potrebbero essere tratti in inganno
dalle composizioni di Myslivecek. I temi che si succedono nelle arie sono di vocalità veramente ammirevole, i ritornelli che prendono forma in orchestra
evocano in maniera sorprendente quelli che Mozart scrive per Ascanio in Alba, La Betulia liberata e Lucio Silla. G. De Saint-Fox, Un ami de Mozart: Josif Myslivecek (1927)
Nel gennaio-febbraio 1773, completato l’impegno milanese del Lucio Silla (col quale si era inaugurata, il 26 dicembre 1772, la stagione del teatro Ducale a
Milano), Leopold Mozart cade malato. In preda a forti reumatismi egli giace bloccato nel letto ed è costretto a rimandare più volte il viaggio di rientro a Salisburgo, dove è tenuto a riprendere il normale servizio presso la
corte. Nelle lettere inviate alla moglie e alla figlia Nannerl in quei giorni si legge: “Io scrivo a letto, perché sto ancora sdraiato a causa del maledetto reumatismo e soffro come un cane... Se la mia salute me lo permettesse
sarei partito di qui i primi giorni di febbraio...” (30 gennaio); “Il dannato reumatismo ora mi è arrivato alla spalla destra, e non riesco a far nulla da solo... Non posso fare altro che cercare di riscaldarmi dentro il letto
coperto con pellicce e vesti e allo scopo servono anche i calzettoni...” (6 febbraio); “Il mio reumatismo, che è arrivato alla spalla destra, si è ostinato più di quando lo avevo nella coscia...”(13 febbraio); anche il giovane
Wolfgang dice la sua: “Io spero che domani il mio padre potrà uscire di casa” (23 gennaio) e i biografi avrebbero in effetti registrato questo sciagurato malanno senonché nel poscritto della lettera del 30 gennaio Leopold –
utilizzando un abituale codice cifrato - avvisa la moglie: “Quel che ho scritto della mia malattia non è vero niente, sono stato solo alcuni giorni a letto....Tu però devi proclamare in ogni luogo ch’io sono malato. Puoi
tagliar via questo squarcio (di lettera) perché non cada nelle mani di nessuno”. Dunque Leopold mente, le sue lettere sono eventi semipubblici, volti a fornire una precisa immagine di sé e soprattutto di Amadeus, lettere che
vengono letti a Salisburgo in ampie cerchie di amici e funzionari della corte e solo la “negligenza” di Maria Anna, che non ha cestinato il poscritto come da indicazioni, chiarisce un fatto importante: ciò che è scritto nelle
lettere dei Mozart va sempre vagliato con il dovuto sospetto (quanti poscritti, che invalidavano notizie presenti nel “testo ufficiale”, sono stati invece realmente distrutti?). I Mozart si fermano a Milano un mese più del
dovuto e la ragione, confidata alla moglie sempre nel poscritto o in sezioni cifrate, è che si attende una risposta dal granduca di Toscana Leopoldo (fratello di Giuseppe II) in relazione a una possibile assunzione di Wolfgang
a corte. A questo punto però anche tale motivazione appare debole e forse c’è qualcosa d’altro. Stupisce infatti notare che Josef Myslivecek, divenuto un amico intimo di Amadeus, sia una sorta di compagno quotidiano
del giovane compositore: in più lettere lo si cita come presente; invia i suoi saluti a Maria Anna e a Nannerl; si scherza su di lui. Myslivecek, più anziano di Mozart, è già un operista affermato (soprattutto dopo i successi
napoletani conseguiti nel 1767) e costituisce un vero e proprio modello per i Mozart: un boemo, un suddito austriaco, è riuscito a farsi un nome in Italia. Al Ducale di Milano la stagione precedente (dicembre 1771) è stata
aperta dal suo Gran Tamerlano e il compositore si trattiene ora coi Mozart: quale tipo di sodalizio è il loro? Sappiamo che un paio di anni prima, per il Mitridate (Milano, Teatro Ducale, dicembre 1770) Mozart aveva
utilizzato un tema dalla Nitteti (1770) di Myslivecek, con l’approvazione (si deve supporre) dell’autore. Possiamo immaginare una strana alleanza (opportunamente ricompensata dai Mozart, in questo frangente la parte più debole,
in cerca di un’affermazione già conseguita invece dal boemo) che prosegue in quei mesi, probabilmente al fine di mettere in cantiere una serie di lavori strumentali – magari composti a quattro amni - intestati poi al giovane
Mozart, da utilizzare a Salisburgo e altrove in Austria e in Germania? I due compositori si incontrano la prima volta a Bologna nell’estate 1770. Nei mesi successivi Mozart compone il Mitridate re di Ponto quale opera
inaugurale della stagione del teatro ducale di Milano. Sappiamo che nella capitale della Lombardia austriaca la famiglia Mozart possiede un appoggio sicuro nientemeno che nel governatore, il potente conte Karl Firmian, parente
di altri Firmian di Salisburgo. E’ una protezione decisiva della quale Leopoldo
- in genere così “cauto” nello scrivere – non fa mistero allorché nella lettera del 29 dicembre 1770 scrive da Milano alla moglie: “La protezione ci è servita ed è stata necessaria perché la composizione non venisse ostacolata e non fossero messi i bastoni fra le ruote al compositore mentre scriveva, e poi, durante le prove, perché non fosse intralciato e per evitare che qualche maligno dell`orchestra o fra i cantanti potesse giocargli un tiro”. A questo bisogna aggiungere che, quasi certamente, il progetto del governatore era quello di imporre, in qualche modo, una presenza “asburgica” nell’universo musicale milanese: in questa direzione bisogna leggere la triplice apertura delle stagioni musicali del 1770-72 affidate a due compositori del nord, come pure la commissione a Mozart nel 1771 della serenata teatrale Ascanio in Alba,
serenata celebrativa per le nozze dell’arciduca Ferdinando, figlio di Maria Teresa, con Beatrice d’Este, affiancata, tra l’altro, dall’opera Ruggiero di Hasse, un altro compositore tedesco popolare nella penisola.
Insomma l’operazione culturale del governatore non è esente quell’intendimento egemonico, volto a far pesare la presenza della cultura austriaca e a rafforzare l’unità complessiva dell’impero in una Milano nella quale gli
illuministi lombardi cominciavano a introdurre alcuni elementi di distinzione e di pacata
constestazione. In fondo quello del Firmian degli anni settanta, figura di uomo colto e aperto (nonostante le critiche ricevute dal Verri nella sua monumetale Storia di Milano) è un atteggiamento non dissimile da quello
del futuro imperatore Giuseppe II il quale, nel decennio successivo, cercherà di imporre Mozart in Boemia (i famosi sucessi praghesi del 1786-87). Va rilevato che il tentativo di Firmian fallisce: negli anni immediatamente
successivi Myslivecek non comporrà più per Milano (vi tornerà solo nel 1779 con un’opera per la Scala) e Mozart, dopo il 1773, non tornerà più in Italia. In fondo le sue tre opere milanesi, per quanto interessanti, soprattutto
in relazione alla giovane età dell’autore, non sono così valide e non otterranno repliche in nessuna altra parte della penisola. Né il salisburghese penserà mai di riprenderle in anni successivi (per contrasto si possono. Nelle
recensioni su La gazzetta di Milano, scritte dal Parini, il giovane musicista viene lodato, ma senza che se ne citi il nome, un nome tedesco. Sul numero del 2 gennaio 1771, parlando del Mitridate, Parini sottolinea la
bella prova della cantante Antonia Bernasconi (citata con nome e cognome), elogia il giovane compositore scelto da Firmian (non poteva fare altrimenti, considerando la suddetta protezione offerta dal potente governatore al
salisburghese) e al tempo stesso ne critica in modo discreto – evitando di citarne il nome - la presenza a Milano. Il letterato scrive infatti: “Il giovine Maestro di Cappella, che non oltrepassa l’età di anni quindici anni,
studia il bello della natura e ce lo rappresenta adorno delle più rare grazie musicali”. Si tenga conto che nella recensione altrettanto lusinghiera del gennaio 1771 per la Nitteti, l’opera successiva messa in scena al
Ducale, il nome del compositore Carlo Monza viene invece citato a chiare lettere. Ancora nell’autunno 1771, in occasione della serenata Ascanio in Alba, si ripete il medesimo copione: generiche lodi (si parla di “nobile
e variata semplicità”) al giovane compositore “senza nome”. Neppure nella recensione del Lucio Silla del dicembre 1772, il nome di Mozart compare sul giornale. Riguardo alla mancata ripresa delle opere milanesi da
parte di Mozart va ricordato, per contrasto, che invece quelle di Myslivecek erano oggetto di numerose riprese e di frequenti rifacimenti: ricordiamo, tra gli altri, l’ Adriano in Siria eseguito a Firenze nel 1776 viene replicato a Pavia l’anno seguente; il Demofoonte messo in scena con successo a Venezia nel 1769 viene ripreso a Napoli nel 1775; l’Ezio eseguito
nella città partenopea nel 1775 viene rielaborato due anni dopo per la corte di Monaco; l’oratorio Isacco figura del Redentore, composto per Firenze nel 1776, viene anch’esso riadattato, l’anno dopo, per il pubblico di Monaco.
Tornando al primo incontro bolognese, nell’estate del 1770, inizia in quel contesto tra il salisburghese e il boemo una costante frequentazione, un’amicizia e un probabile “commercio”, volto a favorire entrambi. Myslivecek,
fino ad allora estraneo alla piazza milanese, ottiene la commissione per l’apertura della stagione 1771 (Il gran Tamerlano) mentre quella del 1772 – come si è detto - sarà ancora di Wolfgang (con il Lucio Silla).
Myslivecek è anche un affermato autore di sinfonie e compone in quel periodo otto concerti per violino e orchestra, molto somiglianti a quelli mozartiani. Possiamo supporre quindi un aiuto del più esperto boemo nella
composizione dei misteriosi (quanto a nascita e finalità, tutte da chiarire) cinque concerti per violino del salisburghese? Forse qualcuno è stato addirittura abbozzato da Myslivecek e completato da Mozart? Nei mesi
dell’inverno 1773 in cui i Mozart si trattengono “indebitamente” a Milano, la coppia di compositori sembra frequentarsi quotidianamente e si può dunque immaginare che lavorassero a quattro mani su qualche spartito. Non
dimentichiamo che Myslivecek è un compositore di trentacinque anni con all’attivo una decina di opere, musica sinfonica e cameristica mentre Wolfgang è poco più che un ragazzo. Il “mistero” si infittisce se si pensa che alcuni
motivi dei concerti violinistici (l’incipit e vari incisi dell’andante del K 211, il tema iniziale del K 216) divengono temi di alcune arie-chiave dell’opera Il re Pastore (rispettivamente nel rondò L’amerò, sarò costante e nell’aria Aer tranquillo, entrambi intonati da Aminta) eseguita a Salisburgo nell’aprile 1775 in occasione della visita di Max Franz, (fratello del futuro Giuseppe II e, in seguito, Elettore di Colonia) e se si considera che Mozart regalerà a Myslivecek a Monaco, nell’ottobre 1777 (come riferito al padre in una lettera), proprio la partitura autografa del Re pastore.
In quell’occasione i due parlano di nuovi progetti di scambio in quanto Myslivecek promette di girare all’amico la commissione per un’opera a Napoli mentre Leopold (in un’altra lettera) parla di musiche commissionate dalla
corte di Salisburgo al Boemo. Questo bizzarro regalo da parte di Mozart di una sua partitura autografa è un fatto abbastanza
sconcertante, che tutti i biografi si limitano a registrare senza chiedersi perché mai un giovane compositore dovesse privarsi del testo autografo della sua più recente fatica (per inciso, forse la migliore tra le sue opere giovanili). Il
re pastore è un’opera - serenata che è stata eseguita in forma probabilmente semiscenica una sola volta a Salisburgo; dunque è un lavoro a tutti ignoto, riciclabile sotto differenti cieli di cui, tra l’altro, Mozart non sembra possedere un’altra copia (nelle lettere non ne parla) e in effetti il lavoro non verrà mai più eseguito (e tanto meno rappresentato). Si può allora avanzare l’ipotesi che Mozart stesse restituendo a Myslivecek un testo che in parte gli apparteneva (per la presenza di quei temi derivati dagli enigmatici concerti violinistici) e che costui, a sua volta, avrebbe potuto riutilizzare a Roma, Napoli o altrove? E che Myslivecek abbia ricambiato il favore regalando all’amico qualche sua partitura, da utilizzare nelle lontane Salisburgo e Vienna?
Di fatto il gesto appare unico nel suo genere (si noti che il prudente, attentissimo e sempre misurato Leopold, messo a conoscenza del regalo fatto al Boemo, non solleva alcuna obiezione nelle successive lettere al figlio e
dunque approva), sia nella biografia mozartiana che in quella di suoi coetanei - (per contro è nota l’aspra polemica che intorno al 1798 contrappone Boccherini e l’editore Pleyel, colpevole quest’ultimo di tardare nella
restituzione di alcuni manoscritti originali del compositore lucchese: è una riprova del fatto, peraltro assai banale, che i testi originali possiedono un indubbio valore per i loro autori) - e richiede una spiegazione
razionale. La scrittura di Mozart nei concerti K 207, K 211 e K 218 (collocati dagli studiosi tra il 1773 e la seconda metà del 1775) è molto somigliante a quella che caratterizza gli otto concerti per violino (1772 circa)
di Myslivecek. In entrambi la forma complessiva è spesso ancora indecisa tra strutture barocche e forma-sonata, gli inserti “concertanti” del violino (tipiche progressioni su arpeggi, quasi vivaldiane) sono frequenti nei
movimenti veloci, l’abitudine del Boemo di spezzare la monotonia ritmica dei prevalenti tempi semplici con l’uso ripetuto di incisi in terzine si ritrova in Mozart e il generale tono gaio e galante accomuna queste creazioni. Vi
sono poi somiglianze più decisive come l’incipit del K 218 somigliante a quello del quinto concerto di Myslivecek come pure l’attacco dell’ottavo concerto del Boemo (ascolto)
quasi identico a quello del primo concerto K 207 di Mozart (ascolto).
Insomma l’ultimo concerto di Myslivecek prosegue con il primo del salisburghese.
Nell’immensa produzione attribuita a Mozart lasciano perplessi da un lato la mole del lavoro complessivo, poco conciliabile con un’esistenza tanto breve, tanto errabonda e impegnata sia in continui
spostamenti, sia in una parallela carriera di esecutore alla tastiera e dall’altro il carattere discontinuo e stilisticamente incoerente delle sue creazioni all’interno di singoli frammenti temporali. Nel caso dei
cinque concerti per violino, al di là delle oscurità già rilevate quanto al motivo della creazione (e si badi Mozart non scrive mai nulla senza precise finalità pratiche), l’autore di colpo compone cinque partiture
che mostrano un mestiere compiuto, privo dunque di lavori preparatori; tale mestiere però si applica in modalità troppo differenti sia all’interno del gruppo dei cinque, sia in relazione ad altre composizioni del
periodo. I concerti K 207, K 211 e K 218 appaiono convenzionali, ben scritti in un sicuro stile galante ma tutt’altro che geniali; non solo somigliano a quelli di Myslivecek ma spesso possono tranquillamente
essere collocati qualitativamente al di sotto di quelli del Boemo (tra i quali meritano una particolare attenzione il primo, il terzo, il quarto, il quinto e l’ottavo). Al contrario, il Concerto K 216 è un vero e
proprio capolavoro sia nella ben definita struttura classica, sia nella meravigliosa invenzione tematica, sia negli inquieti accenti patetici e spesso profondamente drammatici che solcano e scuotono l’edificio
musicale. Al salisburghese si intesta in questo periodo anche il magnifico Concerto per pianoforte K 175 (datandolo addirittura 1773): eppure in esso troviamo una padronanza della forma classica e un
senso drammatico e “bellicoso” del discorso musicale (oltre a una stupefacente sicurezza contrappuntistica), che sono assenti nei già citati concerti violinistici di qualità minore, composti
ufficialmente due anni dopo (con l’eccezione del K 207). Certamente l’autore del K 175 può avere creato il concerto violinistico K 216, ma gli altri appaiono incoerenti o antiquati rispetto a questa coppia di pagine mirabili.
Il quinto concerto per violino K 219 costituisce un problema a sé: dopo un mirabile primo movimento, ottimo sia nell’invenzione tematica, sia nell’organizzazione strutturale del discorso, seguono
un “nobile” e monocorde Adagio e un insolito, pasticciato Tempo di minuetto dove si ritrovano affastellate sequenze neobarocche, accademici motivi di danza e danze tzigane di scarsa originalità. Le
due successive pagine isolate, composte dal salisburghese per violino e orchestra (l’Adagio K 261 e il Rondò K 373), sono poi del tutto ordinarie e sono certamente di Mozart poiché, paradossalmente, solo
per queste due pagine abbiamo riscontri definitivi nelle lettere scritte da Wolfgang al padre. E’ di nuovo bizzarro che il compositore, nella sua corrispondenza, si soffermi su queste creazioni minori e non si
esprima mai riguardo al corpo imponente dei cinque concerti violinistici. Si può dunque ipotizzare che i concerti per violino nascano sul modello di quelli del Boemo, tanto più
che nella lettera dell’8 settembre 1773 – scritta da Vienna - Mozart riferisce alla madre di stare “copiando” un concerto per violino di Myslivecek. Probabilmente si tratta semplicemente di un
“istruttivo” esercizio “preparatorio”; tuttavia, considerato il quadro d’insieme, non è impossibile che Mozart stesse realmente copiando per sé, su carta propria e con la propria scrittura, un concerto
regalatogli da Myslivecek; che stesse, cioè, creando un manoscritto “autografo” da usare con le dovute cautele. Inoltre rimane da chiarire che utilizzo abbia fatto Mozart di tutta questa musica. Per quale motivo negli
anni viennesi (dove, detto per inciso, la musica di Myslivecek è nota) non ripropone questi concerti, certamente sconosciuti nella capitale, nelle numerose accademie date per la nobiltà nella prima parte
degli anni ottanta? Perché continuare a creare a rotta di collo sempre nuovi lavori senza “capitalizzare” quelli vecchi? O forse il compositore temeva che essi venissero riconosciuti da qualche ascoltatore per
testi musicali troppo somiglianti a quelli di altri autori? Si arriva all’assurdo che per il ben noto concerto di Linz dell’autunno 1783, Mozart, autore come si è
detto di una quantità inverosimile di musica, si ritrovi senza composizioni proprie adatte all’occasione e sia obbligato a eseguire una Sinfonia di Michael Haydn (fratello di Joseph), in seguito, proprio a causa
di questo concerto, erroneamente attribuita al salisburghese come K 444. Tutti questi eventi sono nell’insieme poco sensati anche se da essi non si può trarre alcuna considerazione definitiva. Certo il
comportamente disordinato e caotico di Mozart lascia perplessi e dà adito a sospetti riguardo all’autenticità di numerose sue creazioni. Anche le sei Sinfonie-Ouverture F 26-31, composte da Myslivecek intorno al 1770-71, anticipano
sotto molteplici aspetti la scrittura delle sinfonie mozartiane degli anni settanta. La varietà ritmica, l’eleganza del melodizzare, l’uso delle sincopi, i saettanti motivetti, in futuro utilizzati da Mozart, in
particolare per caratterizzare il Cherubino delle Nozze (1786), sono già tutti presenti nei testi del Boemo a un livello di notevole compiutezza, sebbene all’interno di una scrittura complessivamente gaia,
galante e priva di chiaroscuri. In particolare sono suggestive le analogie riscontrabili tra l’Allegro iniziale della Sinfonia F 30 e la celebre Ouverture delle Nozze di Figaro: l’incipit (tra l’altro assai
simile a quello dell’ouverture del Demetrio) è il medesimo e il “motivetto saettante” anima l’intera pagina di Myslivecek.
Riassumendo più in generale il tema dell’influenza di Myslivecek su Mozart e volendo brevemente
riassumere i punti di contatto tra la scrittura dei due musicisti, con una particolare attenzione all’ambito operistico diciamo che A)
nelle arie entrambi usano spesso introduzioni strumentali assai estese (più della media dell’epoca), tendenzialmente bipartite e bitematiche B)
entrambi inseriscono nel discorso vocale costanti incisi orchestrali che spesso riprendono il materiale dell’introduzione e irrobustiscono il discorso musicale C)
entrambi si avvalgono nella scrittura vocale di ampie colorature di derivazione strumentale che impongono ai cantanti passaggi di incredibile difficoltà e virtuosismo D)
l’andamento ritmico priviligia l’uso della sincope volta a conferire drammaticità e tensione al discorso musicale. Questo aspetto inoltre si concretizza in un vocabolo ricorrente: l’attacco che prevede
- in un tempo allegro in quattro quarti - una nota lunga da una metà chiusa tra un quarto iniziale e una quartina di sedicesimi conclusiva. E’ tra l’altro il caso del citato tema d’attacco dell’ottavo concerto
violinistico di Myslivecek simile al primo concerto di Mozart. E) il loro discorso sonoro procede spesso per forti contrapposizioni anche all’interno dello stesso
nucleo tematico. La cosa è riscontrabile nel tema d’attacco di molte sinfonie, ouverture, concerti e sonate cameristiche di entrambi i compositori. Per il Boemo citiamo le ouverture de Il gran tamerlano e del Demofoonte (Venezia, 1769), quest’ultima tra l’altro molto amata dal giovane Mozart il quale ne
cita l’incipit nella lettera del 22 dicembre 1770 e scrive alla sorella: ”chiedi se a Salisburgo hanno o no questa sinfonia di Myslivecek; se non ce l’hanno la porteremo con noi”; per Mozart possiamo far
riferimento all’incipit orchesrale dell’aria di Giunia (Lucio Silla, 2°atto) Ah se il crudel periglio o alle più tarde sonate per pianoforte K 309 e K 457 nelle quali tale gioco di contrasto viene esposto in
modo netto e stilizzato. Ma gli esempi potrebbero essere decine.
Tornando brevemente all’ouverture del Demofoonte va rilevato che l’atteggiamento di Mozart
sottintende una grande familiarità con Myslivecek – quasi un rapporto di allievo e maestro – e una possibilità di accedere con grande libertà ai manoscritti del Boemo come di chi è intento a studiarli. Va
inoltre aggiunto che – nel recente, monumentale ed elegante testo curato da Alberto Basso, I Mozart in Italia (vedi bibliografia), nella nota a pié di pagina relativa alla citazione di questo tema nella lettera
mozartiana si legge “non è nota una sinfonia del compositore boemo con tale incipit”. L’affermazione è quindi clamorosamente errata e la dice lunga sull’intenzione della musicologia ufficiale di approfondire
seriamente le opere di Myslivecek e la reale influenza di quest’ultimo sullo stile di Mozart.. Come si nota i primi tre caratteri sopracitati (A, B, C) posseggono un elemento di evidente continuità
nel fatto che esprimono una visione musicale che nasce da una concezione sonora tipica della musica strumentale, prevalente in terra tedesca, la quale viene poi applicata nell’ambito dell’opera seria e
dell’oratorio italiano in quegli anni sessanta e settanta del Settecento. Il quarto e quinto carattere appartengono, in prevalenza, al discorso strumentale.
Il complesso di questi cinque caratteri, uniti a un’elegante cantabilità sulla quale apapreinutile soffermarsi, produce una suggestiva similitudine tra la scrittura operistica dei due musicisti negli anni
settanta del secolo, al punto che si può tranquillamente spostare arie dell’uno in opere dell’altro (è accaduto ad esempio con l’aria Lungi da te nel Mitridate, per secoli considerata di Mozart, mentre si
trattava di un adattamento dell’aria Se la cagion saprete, composta da Myslivecek per la Nitteti “bolognese” del 1770) senza che si produca un’evidente rottura stilistica. Va poi aggiunto che
l’invenzione tematica del Boemo ha poco da invidiare a quella del giovane salisburghese degli anni settanta. Anzi. Per andare più in profondità sull’argomento ho voluto isolare due ulteriori vocaboli, più circoscritti e
immediatamente iìdentificabili, decisamente tipici della scrittura di Myslivecek, presenti fin nel suo Bellerofonte (Napoli 1767), l’opera che costituisce il suo primo importante successo per poi andarli a
ritrovare dapprima nei testi coevi mozartiani ed infine in quelli del successivo periodo viennese. Il punto di partenza è l’eclatante somiglianza tra il duetto di Tamerlano e Asteria (sop) Non v’è maggior tormento (sezione allegro de Di quel amabil ciglio, Finale I° - ascolto – esecuzione in
lingua ceca) de Il Gran Tamerlano (Milano, 1771) e il duetto Se questo mio core mai cangia desio (sezione allegro de Ah guarda sorella, primo atto - ascolto) dal Così fan tutte (Vienna, 1790)
mozartiano. Nel testo del Boemo, dopo una prima sezione moderata in ritmo ternario, scatta la trascinante stretta in tempo binario nella quale, a turno, una delle due voci si ferma all’acuto lasciando
all’altra il compito di “percorrere” un efficace inciso tematico che, pertanto, dal fondale balza in primo piano. Ora questa particolare tecnica è stata resa celebre da Mozart nel citato duetto di Fiordiligi e
Dorabella, una splendida pagina anch’essa suddivisa in una prima sezione moderata (Andante) in tempo ternario cui segue una stretta (Allegro - Se questo mio core mai cangia desio) in tempo binario in cui
ritroviamo il medesimo espediente stilistico: a turno Dorabella e Fiordiligi bloccano il canto su una nota dando modo alla partner di emergere con un proprio motivo.
Il modello di questo popolare duettino va dunque ricercato in quel Finale primo di Myslivecek di due
decenni prima. Questo gioco di alternanze vocali costituisce il secondo (il più compelsso) dei due vocabli in questione. I due vocaboli che, per comodità, definisco in termini moderni dissolvenze sonore
(con un occhio alla prevalente cultura cinematografica del nostro tempo e alla tecnica della dissolvenza incrociata ovvero il lento scomparire di un’immagine mentre viene affermandosi la successiva) sono pertanto: a)
dissolvenza semplice: il caso in cui la linea melodica principale si sofferma a lungo (per non meno di due battute, ma spesso anche tre o quattro) su una nota chiave (l’attacco di un’aria o la nota della
dominante all’interno dell’incipit di un’aria) lasciando emergere dal fondale una serie di incisi strumentali di importanza secondaria i quali, tuttavia, divengono per quel breve tratto, elementi in qualche modo
protagonsti della scena sonora. b) dissolvenza complessa: il caso in cui – all’interno di un duetto o di un terzetto vocali, per lo più in
tempo allegro - la linea melodica principale si sofferma su una nota, in genere posta in posizione alta, e lascia momentaneamente emergere, a sorpresa e per un breve tratto, la seconda voce dotata, in questo
caso, di un andamento tematico preciso e definito. Subito dopo il gioco si ripete a parti invertite. E’ questo il caso sopracitato del Gran Tamerlano e del Così fan tutte. Come si nota si tratta di un vero
e proprio gioco di piani sonori cangianti i quali, a turno, balzano in primo piano, per poi subitaneamente scomparire, restituendo il ruolo primario alla voce prevalente in quella fase.
Questo vocabolo si ritrova nei finali d’atto dell’opera seria degli anni settanta poiché, come noto, è quasi esclusivamente in quel contesto che i compositori utilizzano il duetto o il terzetto vocale. Nel
genere dell’opera buffa invece, essendo i pezzi d’insieme utilizzati in maniera più libera, quel vocabolo sonoro può ritrovarsi in collocazioni differenti come nel caso del citato duetto nell’ultima opera italiana di Mozart.
Mi pare importante notare che queste “dissolvenze sonore” posseggono – come gli altri aspetti stilistici che accomunano Myslivecek e Mozart – un’origine strumentale e, in modo particolare, derivano dal
dialogo sonoro tra strumento solista e orchestra nel genere del concerto. Da qui – o meglio dai già citati concerti violinistici del Boemo - infatti ci muoviamo per trovare alcuni esempi di grande interesse.
Il suddetto vocabolo compare nei tempi centrali (generalmente strutturati secondo lo schema ABA) dei concerti violinistici n. 3, n. 4 e n. 5 di Myslivecek. Lo strumento solista tiene note lunghe nel tema
della sezione centrale nel terzo (ascolto) e nel quinto concerto (ascolto) mentre tale situazione si trova nell’attacco principale del violino (poi ripetuto identico alla ripresa) nel quarto concerto (ascolto). In
questi frangenti emergono come controtemi alcuni incisi orchestrali. Si può ritrovare tale espediente per ben due volte anche nell’Allegro d’apertura in re maggiore della sinfonia del Demetrio
, seppure non in una posizione così eclatante. Dopo l’esposizione del primo tema, nel quale risuona la cellula chiave della celebre ouverture delle mozartiane Nozze di Figaro, la
transizione approda a una nota lunga dell’oboe (sul mi, dominante della dominante) la quale, aziché scomparire al sopraggiungere del melodico secondo tema, rimane (per oltre cinque battute) a fare da
insolito fondale, creando la consueta “profondità di campo” sonora (ascolto).
(la partitura si riferisce alla ripresadel secondo tema)
Un procedimento simile anima il più conciso tema di coda: l’oboe tiene la nota alta mentre gli archi
disegnano un saltellante temino secondario prima di restituire la parola ai fiati per la cadenza conclusiva (ascolto). Lo stesso vocabolo caratterizza molteplici attacchi vocali di arie nei melodrammi di Myslivecek,
vocabolo che ricorre in genere due volte poiché si tratta, per lo più, di arie con il da capo. Quasi in ogni suo spartito teatrale riscontriamo almeno un caso simile. Ecco l’elenco. Semiramide
(Bergamo, 1766): aria di Ircano (ten) nel 1° atto – Talor se il vento freme
Bellerofonte (Napoli, 1767): aria di Bellerofonte (sop) nel 2° atto – Parto ma in quest’istante (ascolto)
Il trionfo di Clelia (Torino, 1767): aria di Clelia (sop.) nel 1° atto – Tempeste il mar minaccia
aria di Tarquinio (ct) nel 2° atto – Non speri onusto
Motezuma (Firenze, 1771): aria di Tentile (sop) nel 1° atto – Scherza il nocchier talora
Il gran Tamerlano (Milano 1771): aria di Asteria (sop) nel 1° atto – Sento nell’alma mia fiera
crudel tempesta (ascolto- esecuzione in lingua ceca).
in questo caso il vocabolo ritorna in tutte le riprese del tema vocale e, inoltre, lo si ritrova ancor più ampio alla fine della prima sezione del canto
Aria di Bajazet (bas) nel 2° atto – In mezzo alle tempeste
Aria di Tamerlano (sop) nel 2° atto – Il caro e solo oggetto
Demetrio (Pavia, 1773): aria di Fenicio (ten) nel 1° atto – Ogni procella infida
aria di Alceste alias Demetrio (sop) nel 1° atto – Scherza il nocchier talora stesso titolo dell’aria del Motezuma ma con trattamento musicale differente.
Antigona (Torino, 1774): aria di Euristeo (sop) nel 1° atto – Pensa oh Dio
Artaserse (Napoli, 1774): aria di Arbace (sop) nel 1° atto – Tra cento affanni e cento
aria di Mandane (sop) nel 2° atto – Pace e calma
Siamo in presenza del tipico incipit sincopato, ricorrente sia nell’attacco dell’ottavo concerto del boemo, sia nel K 207di Mozart.
Atide (Padova, 1774): aria di Erisena (sop) nel 2° atto - Sento nell’alma mia
Ezio (1° versione; Napoli, 1777): aria di Onoria (sop.) nel 2° atto – Finché per te mi palpita
Adriano in Siria (Firenze 1776): aria di Emirena (sop) nel 2° atto: A ritrovarmi chiama
La Passione di Gesù Cristo (Bologna, 1777; oratorio): aria di Pietro (sop.) nel 1° atto – Giacché mi tremi in seno
Ezio (2° versione; Monaco, 1777): aria di Fulvia (sop.) nel 1° atto – Caro padre
Calliroe (Napoli, 1778): aria di Arsace (sop) nel 1° atto – Dalla fatal procella
Olimpiade (Napoli, 1778): aria di Aminta (sop) nel 2° atto – Siam come navi all’onda
Siamo in presenza del tipico incipit sincopato, ricorrente sia nell’attacco dell’ottavo concerto del boemo, sia nel K 207di Mozart.
Armida (Milano, 1779): aria di Rinaldo (sop) nel 1° atto – Dal mio core amor
Armida è l’unica opera di Myslivecek presente alla Scala: è la settima opera a venire ospitata dal
nuovo teatro milanese (inaugurato l’anno precedente con L’Europa riconosciuta di Salieri) e rimane - a tutt’oggi – l’unica presenza del Boemo in quel prestigioso teatro.
Demetrio (2° versione; Napoli, 1779): aria di Cleonice (sop) nel 1° atto – Fra tanti pensieri
Siamo in presenza del tipico incipit sincopato, ricorrente sia nell’attacco dell’ottavo concerto del boemo, sia nel K 207 di Mozart.
aria di Alceste alias Demetrio (sop) nel 1° atto – Scherza il nocchier talora
aria di Olinto (sop.) nel 2° atto – Non fidi al mar che freme
Medonte (Roma, 1780): aria del soprano nel 1° atto – Tra gli affanni oh Dio Questa aria rielabora quella citata dell’Armida, Dal mio core amor
Nelle opere mozartiane dello stesso periodo la presenza di questo vocabolo è altrettanto ricorrente.
Tale fattore così particolare e nettamente delineato sancisce, meglio degli altri tratti stilistici sopra citati, la forte influenza dello stile del Boemo all’interno delle creazioni vocali del giovane Mozart.
Ecco il secondo elenco: Mitridate (Milano, 1770): aria di Sifare (sop) nel 1° atto – Soffre il mio cor con pace; lunga nota tenuta del soprano all’attacco dell’aria (ascolto). Nell’insieme il periodo appare molto simile, nella
conduzione melodica complessiva, al già citato attacco del violino nell’andante del quinto concerto di Myslivecek.
Ascanio in Alba (Milano, 1771): aria di Silvia (sop) nel 2° atto – Spiega il desio le piume (ascolto)
Lucio Silla (Milano, 1772): aria di Cecilio (sop) nel 1° atto – Il tenero momento (ascolto)
duetto di Giunia (sop); Cecilio (sop) nel finale primo – D’Elisio in ciel mi attendi struttura AB – Andante, Allegro; nell’andante entrambe le voci iniziano con una nota lunga (ascolto e
partitura: entrata Giunia ed entrata Cecilio); nell’allegro invece è presente il secondo vocabolo in questione (vedi)
(attacco di Giunia)
(attacco di Cecilio)
aria di Aufidio (ten) nel 2° atto – Guerrier che d’un acciaro (ascolto)
La Betulia liberata (oratorio, 1772): aria di Giuditta (sop) nel finale del 1° parte – Parto inerme e non pavento (ascolto)
aria di Ozia (ten) nella 2° parte – Se Dio veder tu vuoi (ascolto)
aria di Amital (sop) nella 2° parte – Quel nocchier che in gran procella (ascolto)
Idomeneo (Monaco, 1781) – aria di Idomeneo (ten) nel 1° atto – Vedrommi intorno l’ombra dolente – nota tenuta a lungo non
nell’attacco del tema, bensì nel corso del brano, in una posizione più defilata aria di Ilia (sop) nel 3° atto – Zeffiretti lusinghieri – nota lunga, per lo più nella parte conclusiva del
brano; presente per tre volte (ascolto).
Spostandoci nel periodo viennese ritroviamo questo procedimento in: Das Entführung aus dem serail (Vienna 1782): Aria di Belmont (ten) nel 1° atto Hier soll ich dich denn sehen, Konstanze!
Aria di Belmont (ten) nel 3° atto Ich baue ganz auf deine Stärke Aria di Osmin (bs) nel 3° atto Ha! wie will ich triumphieren In questi tre casi il procedimento avviene nella parte finale di un periodo e appare defilato e secondario.
Zaide (incompiuta, 1783): Aria di Allazim (bs) nel 1° atto, Nur mutig, mein Herze, versuche dein Gluck - la voce si blocca più
volte su una nota lasciando emergere incisi orchestrali – in particolare, al centro del brano compare un do da dodici quarti.
Don Giovanni (Praga, 1787): Aria di Don Ottavio (ten) nel 2° atto, Il mio tesoro intanto, brano relativamente secondario e
“antiquato” rispetto al contesto estremamente innovativo dell’opera. Nella cadenza conclusiva della sezione principale la voce si blocca sulla dominante con una nota estremamente lunga (per oltre dodici
quarti), lasciando emergere incisi orchestrali che rimandano al tema principale; trattandosi di un’aria doppia, la situazione si ripete identica nella successiva ripresa della sezione (ascolto).
Durante tutti e tre i soggiorni milanesi il musicista boemo si trova al fianco del salisburghese. Nel 1770
come si è detto i due compositori si frequentano a Bologna e poi Mozart cita l’attacco di una sinfonia di Myslivecek nella lettera milanese del 22 dicembre 1770, lasciando intendere che il Boemo è a Milano in
quei giorni. Nell’autunno 1771 invece il Boemo giunge a Milano solo a fine novembre, quando Ascanio in Alba è già andato in scena. Il Lucio Silla – terza ed ultima opera scritta per Milano – contiene, più delle due precedenti opere,
numerosi elementi che ricordano la scrittura di Myslivecek. Oltre ai casi citati, vedremo anche il duetto nel Finale primo. Leopold e il giovane Wolfgang giungono a Milano il 4 novembre 1772 e tre giorni
dopo Amadeus scrive alla madre: “siamo dal sig. v. Aste, dove si trova anche il sig. barone Cristani… Siamo felicemente arrivati qui il quattro a mezzogiorno, siamo in salute. Tutti i nostri buoni amici sono in
campagna e a Mantova, salvo il sig. Taste e la sua sig.ra consorte, da parte dei quali devo trasmettere un complimento a Lei e a mia sorella. Il sig. Mislivececk è ancora qui”. Dunque in quell’autunno
Myslivecek – insolitamente “disoccupato” (in quell’anno non compone neanche un’opera) – è a Milano. Due mesi dopo, archiviata la fatica del Silla e in procinto di lasciare Milano e l’Italia, Leopold scrive
alla moglie: “Siamo, Iddio sia ringraziato, entrambi in salute. Anche la mia testa va assai meglio, da qualche tempo in qua. Due giorni fa ha cominciato a fare qualche gelata e le giornate sono splendide. Il
sig. v. Aste e Md.me, il sig. v. Troger, il sig. Germani e sua moglie e il Sgr. Maestro Misliwetschek vi riveriscono. Tutti desidererebbero vedervi”(9 gennaio 1773).
Dunque Myslivecek è ancora lì, a Milano, in quella abitazione di Leopold Troger (funzionario del governatore Firmian), nella quale sia i Mozart, sia il musicista boemo sono di casa. Viene allora
spontaneo supporre che il più esperto Myslivecek aiuti il giovane Amadeus nella stesura del Silla. A voler pensare veramente male si potrebbe addirittura ipotizzare un Myslivecek che compone con
Amadeus dietro generosi compensi. C’è in tal senso un passo delle lettere che lascia interdetti. Leopold scrive alla moglie che, per risparmiare, padre e figlio si concedono solo un pranzo al giorno. Scrive
dunque il 28 novembre: “Qui la vita non è a buon mercato… Perciò mangiamo una volta sola al giorno, ma bene”. Il tema del denaro si rapporta ai Mozart in modo sempre misterioso. Il compenso per la stesura del Silla (di un’opera in genere) era generoso e corrispondeva a oltre un’annualità di stipendi di
un magistrato milanese o di un alto funzionario. Come conciliare tutto ciò con il fatto che ai Mozart sembrano mancare i soldi per il vitto? Val la pena ricordare che gli ingenti debiti che perseguitano
Amadeus negli ultimi anni della sua esistenza viennese sono anch’essi largamente immotivati (ovvero privi di una causa precisa, univoca e accertata dai numerosi biografi). Ciononostante – fatto salvo che i
motivi di tale oculatezza pecuniaria possono essere di ogni genere, non esclusa una naturale avarizia – sorge tuttavia il sospetto (viste anche le forti somiglianze stilistiche sopra riscontrate) che Leopold
ricompensasse Myslivecek per l’aiuto fornito al giovane figliolo nella composizione del Silla. Di passaggio val la pena notare che l’incipit solenne e guerriero dell’ouverture del Lucio Silla è un
evidente ricalco del tema d’apertura dell’ Annibale in Torino (partitura eseguita per la prima volta in epoca moderna a Torino nel 2007), l’opera di Paisiello che i Mozart ascoltarono nella città sabauda nel
gennaio 1771 e su cui, in una lettera, espressero pareri lusinghieri. Tutto ciò non fa che confermare la straordinaria permeabilità di Mozart a tutti gli eventi musicali cui veniva a contatto e la sua capacità di
farli propri (clamoroso tra tutti, in questa direzione, è l’avere ripreso nel Don Giovanni una serie di temi e incisi musicali dall’omonima e quasi coeva opera di Gazzaniga e Bertati).
Venendo a discutere ora del secondo, più rilevante vocabolo musicale utilizzato da Myslivecek e
Mozart – sopra definita dissolvenza complessa – elenchiamo ora i casi più significativi oltre a quelli già commentati de Il gran Tamerlano e del Così fan tutte. Nelle partiture di Myslivecek
ritroviamo questo evento sonoro in: Bellerofonte (Napoli, 1767): terzetto di Bellerofonte (sop), Argene (sop) e Ariobate (ten) nel 3° atto – Barbare stelle ingrate – struttura del brano ABAB – allegro, presto – nella sez. B, a turno, soprano
e tenore intonano una nota lunga, lasciando emergere disegni vocali altrui (ascolto dei due attacchi: nota tenuta al tenore e al soprano) Isacco, figura del Redentore (Monaco, 1777): terzetto di Abramo (ten), Isacco (sop) e Sara (ct) nel
finale della 1° parte – Lascia che un baccio; si ripete due volte, come spesso accade in questo genere di brillanti sezioni conclusive (ascolto).
Nelle partiture di Mozart ritroviamo questo evento sonoro in: Ascanio in Alba (Milano, 1771): terzetto di Ascanio (sop), Silvia (sop) e Aceste (ten) nel Finale secondo – Più sacro dono in terra, sezione allegro de Ah caro sposo – struttura AB – andante,
allegro: seziona A: nota tenuta di Silvia nella parte conclusiva sezione B, ripetuta due volte: nella prima tengono a turno la nota lunga Ascanio e poi Silvia; nella seconda invece Aceste e poi Silvia (ascolto).
(Ascanio tiene un lungo do; poi è la volta di Silvia)
Lucio Silla (Milano, 1772): duetto di Giunia (sop); Cecilio (sop) nel Finale primo – Cara speme sezione allegro di D’Elisio in ciel
mi attendi - struttura AB – Andante, Allegro (ascolto); nell’andante è presente l’altro vocabolo ossia la nota lunga nell’attacco di entrambi i cantanti (vedi).
Il re pastore (Salisburgo, 1775): duetto di Elisa (sop) e Aminta (sop) nel Finale primo – Ah
proteggete oh Dei, sezione allegro de Vanne, vanne a regnar ben mio – struttura AB – andante, allegro (ascolto).
(Elisa tiene un lungo mi; poi sarà la volta di Aminta)
Ne La finta giardiniera (Monaco, 1775) i due vocaboli appaiono sostanzialmente assenti. Solo nel duetto del finale terzo, Belle alme innamorate, compare un breve accenno di “dissolvenza complessa”.
Nell’Idomeneo tale vocabolo è assente Spostandoci nel periodo viennese ritroviamo questo procedimento in: Das Entführung aus dem serail (Vienna 1782)
Duetto di Belmont e Costanze nel 3° atto – sezione finale allegro Mit dem Geliebten Sterben di Meinet wegen sollst du sterben! , subito prima del vaudeville conclusivo – ritroviamo l’effetto di
alternanza delle voci pienamente sviluppato, anche se senza il ritornello della sezione e confinato alle ultime battute del brano, quasi con funzione di coda (ascolto).
Die Zauberflöte (Vienna 1791) Duettino di Papageno (bar.) e Papagena (sop) all’interno del Finale secondo, Pa pa pa -
come nel Ratto, ritroviamo l’effetto di alternanza delle voci pienamente sviluppato, senza ritornello della sezione e confinato alle ultime battute del brano (ascolto).
(Papagena tiene un lungo re; poco più avanti sarà la volta di Papageno)
Questi due vocaboli sonori appaiono invece totalmente assenti ne Le nozze di Figaro, La clemenza di Tito.
Da questa lunga ricognizione esce confermata l’importante influenza esercitata da Myslivecek sul
giovane Mozart, un’influenza che si protrae fino all’ultimo duettino (quello tra Papageno e Papagena) firmato dall’artista. E’ probabile che non si potrà mai sapere secondo quali modalità concrete (semplice
presa visione dei lavori del più esperto musicista da parte di Mozart oppure vera e propria collaborazione alla stesura delle partiture) tale influenza si sia attuata. In ogni caso essa si fece sentire
soprattutto nel periodo dei tre viaggi in Italia (1769-73) e, specificatamente, nei tre melodrammi (in modo particolare nel Lucio Silla) e nell’oratorio composti in quegli anni. Successivamente, tuttavia,
quel tipo di scrittura, acquisita da Wolfgang in una fase fondamentale dello sviluppo del talento e delle conoscenze, continuerà a costituire il sostrato essenziale all’interno del quale germoglieranno i
capolavori della maturità. Saltuariamente quei due vocaboli, amati da Myslivecek, faranno di nuovo la loro comparsa nelle opere mozartiane successive al 1780, sebbene – con l’eccezione del citato duetto
di Fiordiligi e Dorabella – sempre in posizioni marginali e defilate.
Bibliografia selezionata
su Myslivecek G. De Saint-Foix, Un ami de Mozart: Josif Myslivecek, La Revue musicale, IX (1926-27)
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D. della Porta, Josif Myslivecek: profilo biografico-critico, Bagatto, Roma, 1981 C-H. Mahling, Mislivecek (1737-81) und Grétry (1741-1813) volbilder Mozarts?, in Die
frühdeutsche Oper und ihre Beziehungen zu Italien, England und Frankreich: Mozart und die Oper seiner Zeit, ed. M. Ruhnke (Laaber, 1981), pagg. 203–9
A.Nascimbene, Drammaturgia e prassi musicale nelle due versioni de Il Demetrio di Josef Myslivecek, Vicolo del Pavone, Piacenza, 1991 D. Freeman, Josef Myslivecek and Mozart’s Piano Sonatas K. 309 (284b) and 311(284c), Musical
Quaterly, 1995, pagg. 95 – 109 A. Evans, R.Dearling, Josef Myslivecek (1737-1781) a thematic catalogue of his instrumental and
orchestral works, München: Katzbichler, 1999, D. Freeman, Josef Myslivecek, "Il Boemo". Sterling Heights, Mich.: Harmonie Park Press, 2009
su Mozart H. Abert, W. A. Mozart - Erster Teil 1756-1782; Zweiter Teil 1783-1791, Lipsia 1919, 1921; trad.
it. Mozart - La giovinezza 1756-1782; La maturità 1783-1791; Saggiatore, Milano, 1984, 1985 E. Dent, Mozart’s Operas, Oxford, 1913; trad it Il teatro di Mozart, Rusconi, Milano, 1979
B. Paumgartner, Mozart, Zurigo, 1927; trad. it. Mozart, Einaudi,Torino, 1945 G. Barblan, Mozart in Italia, Ricordi, Milano, 1956 W. Hildesheimer, Mozart, Suhrkamp, Francoforte, 1977; trad. it. Mozart, Sansoni, Firenze, 1979
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A.Basso, I Mozart in Italia : cronistoria dei viaggi, documenti, lettere, dizionario dei luoghi e delle persone, Accademia Nazionale di Santa Cecilia, Roma, 2006
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