The Paradine Case

The Paradine Case: teatro da camera senza deroghe (1933-47)

                A un tratto si accorse che egli cercava a tentoni la sua mano.
              <Le proibisco di toccarmi!> mormorò con un fil di voce
              <E’ una cosa che non posso tollerare!>
              <Ma se suo marito non ci bada? Perché  io e lei dovremmo
              preoccuparci di un marito che non le bada?>
              <Ma ci bado io! Ci bado io!>
              dialogo tra Lord Horfield e Gay Keane

              <Horfield, caro, non essere più crudele! Smetti di essere crudele!
              Tu credi che ciò ti dia soddisfazione ma ti sbagli! Non te la dà affatto!
              Non può dartela! E’… è… un’illusione!>
              Lady Horfield parla a suo marito

Robert Hichens (1864-1950),  noto romanziere inglese, pubblica The Paradine Case nel 1933. Il testo assai esteso (oltre 600 pagine), complesso e ricco di suggestioni, ottiene un notevole, meritato successo e viene acquistato dal produttore hollywoodiano David Selznick. Nella creazione della gelida e seducente figura della protagonista – di origini scandinave – lo scrittore si ispira a Greta Garbo e all’attrice pensa anche di rivolgersi il produttore americano. Il tempo passa e nel 1947 – quando la celebre diva si è già ritirata dalle scene – Selznick affida il ruolo all’italiana Alida Valli, al proprio debutto americano.
La vicenda sembra vertere intorno a un ordinario caso di omicidio: la signora Paradine, giovane moglie di un eroe di guerra cieco, ha avvelenato il marito oppure quest’ultimo si è suicidato? oppure, ancora, è stato William Marsh, il devoto e animalesco attendente dell’uomo ad averlo ucciso, per motivi tutti da chiarire? Insomma il tipico enigma di uno dei tanti intrecci che Agatha Christie avrebbe affidato al suo Poirot (carattere creato nel 1920); ma i romanzi, spesso magnifici, della scrittrice raramente superavano le 250 pagine. Hichens ne impiega più del doppio per raccontarci la propria storia nella quale la questione Paradine è solo un detonatore qualunque, posto in un’insolita e straordinaria “lontananza”. I veri protagonisti del drammatico e coinvolgente intrigo sono invece altri e precisamente lo spavaldo avvocato Mark Keane, il giudice Horfield e le loro mogli. E’ tra questi personaggi maschili che si gioca un lungo, insinuante e feroce duello che si conclude con la sconfitta dell’avvocato e con un tentato omicidio da parte di quest’ultimo nei confronti del giudice.
Keane è un brillante e impulsivo protagonista della vita giudiziaria londinese che si immerge completamente nella vicenda Paradine, scoprendone gradualmente i misteri. Mentre l’uomo sprofonda in un incontrollabile vortice passionale (abilmente innescato dalla donna), dimenticando la devota moglie Gay e dedicandosi anima e corpo alla difesa della sua assistita (che, fin quasi al termine, crede innocente), il giudice Horfield, un uomo sadico che gioisce delle condanne a morte inflitte in tribunale, tenta invano di sedurre Gay Keane, facendo intuire alla coppia che un cedimento di quest’ultima avrebbe prodotto vantaggi all’avvocato e, in definitiva, alla signora Paradine. Keane, travolto da un’insensata passione, appare pronto a sacrificare perfino la moglie per ottenere la salvezza dell’accusata mentre Gay, sconvolta dal “crescendo” selvaggio degli eventi, comprende il perfido e morboso gioco, non cede alle attenzioni del giudice e si ritira “in esilio” fuori Londra (assisterà al processo di nascosto, confusa tra il pubblico e all’insaputa del marito).
Da ultimo la povera signora Horfield, pasticciona e apparentemente goffa, segue rassegnata le turpi macchinazioni di Lord Horfield – in qualche modo il vero protagonista della vicenda, colui che tiene in pugno i destini di tutti - e ne comprende a tal punto le nefandezze da implorarlo apertamente di non far condannare la signora Paradine nel nome di un amore universale e di una tolleranza che sono del tutto estranei alla brutalità del giudice. Non solo. Lady Horfield si incontrerà di nascosto anche con Mark Keane per metterlo in guardia intorno al sadismo del marito, al suo tentativo di sedurre Gay (quest’ultima verrà costretta dalle circostanze a passare una serata a teatro sola con Horfield) e soprattutto alla sua netta predisposizione a pilotare le giurie verso verdetti di condanna a morte.
Il processo diviene quindi un lungo, inesorabile duello tra Horfield e Keane – tra un uomo freddo, padrone dei propri istinti, cacciatore senza scrupoli e un uomo emotivo, debole, facile al sentimentalismo e incapace di controllarsi - nel quale la questione Paradine appare solo l’elemento scatenante. Il romanzo finisce per essere una lucida riflessione sulla lotta quale meccanismo inesorabile e ineludibile in un universo sociale governato dagli uomini (la signora Paradine si illude, infatti, di potere giocare un proprio ruolo vincente mentre le altre figure femminili osservano in modo pertinente gli eventi, ma non sono in grado di influenzarli seriamente). La vittoria del giudice sarà totale (anche se appannata dall’attentato du cui è vittima), la signora Paradine, colpevole e tuttavia attenta fino all’ultimo a non confessare la propria colpa, viene condannata (grazie alle ripetute e sfrontate pressioni di Horfield sui giurati) mentre Marsh esce di scena disgustato dal comportamento della donna e di Keane, ma certamente non intenzionato a suicidarsi.(come invece avviene nel rozzo scioglimento ideato da Selnick con Hitchcock).
In lontananza invece si staglia il complotto della gelida assassina, il suo folle amore per l’animalesco domestico Marsh e la sua decisione di liberarsi del marito invalido per poter finalmente essere libera di unirsi a un uomo che, invece, la disprezza.
Hichens conduce il proprio gioco con sublime abilità: crea sei personaggi perfetti, scolpiti a tutto tondo e in perenne lotta tra loro, all’interno di un vivace affresco della Londra degli anni trenta e di una pertinente ricognizione dell’universo giudiziario inglese. Un potente e rapace giudice, un avvocato in balia di una donna enigmatica, la signora Keane affranta nel vedere andare in pezzi il proprio matrimonio, la signora Horfield, sorta di idiota dostoeskiano, pronta a immolarsi pur di evitare il peggio, la spietata signora Paradine che crede di potere incantare tutti (avvocato, giudice e giurati) e che finirà stritolata dal complicato meccanismo che ha messo in atto, l’esuberante Marsh sedotto dalla assassina, indotto al tradimento nei confronti del suo padrone e ferito per sempre.

Come si può agevolmente intuire di tutto questo sofisticato intrigo, come pure di questa sottile disamina delle tensioni che animano i differenti caratteri, non resta quasi nulla nell’apatico film di Hitchcock. Il lungo, estenuante duello tra Horfield e Keane scompare. The Paradine Case (dicembre 1947; 115 min.) – sceneggiato personalmente da David Selznick - è, di nuovo, un esempio di cinema da camera, privo però di quegli ammirevoli guizzi che animavano il precedente dittico (Spellbound e Notorious). Il film elimina tutte le suddette tensioni, peraltro difficili da sviscerare in un film di sole due ore, e punta semplicemente sul caso giudiziario. La signora Paradine diviene quindi il centro reale del racconto filmico nel quale, per forza (regole dello spettacolo hollywoodiano), bisogna ora aggiungere qualche colpo di scena più grossolano per potere ottenere un prodotto più adatto alle ingenue platee americane. Ecco allora il suicidio del tutto forzato di Marsh (diventato nel film André Latour, figura interpretata senza estro da Louis Jordan), la confessione in diretta, tra le lacrime, della protagonista e – per le regole ferree del lieto fine – addirittura la riappacificazione dei coniugi Keane (nel film l’avvocato si chiama Anthony). Ovviamente l’attentato al giudice Horfield (Charles Laughton) viene eliminato come pure la parallela uscita di scena di Keane (Gregory Peck) dalla vita giudiziaria londinese.
Inutile aggiungere che gli attori (oltre a quelli citati Ann Todd è Gay Keane e Ethel Barrymore interpreta Sophie Horfield) sono tutti piuttosto ordinari nei loro sfocati ruoli (Alida Valli si sforza di dar vita a un ruolo di femme fatale - peraltro estraneo alla sua precedente carriera italiana - con esiti intermittenti), le sequenze, dominate da ridondanti dialoghi, nonché tutte rigorosamente in interni, creano un pesante clima teatrale, mentre la musica di Franz Waxman appesantisce le immagini con una  serie di ingombranti arabeschi tardo romantici. Le pochissime immagini esterne mostrano una Londra ferita dai recenti bombardamenti (la storia è ambientata nel 1946).
Di tutte le altre complicate dinamiche del romanzo rimangono solo deboli, timorosi (in quanto una trasposizione fedele sarebbe stata ben diversamente dirompente) e inutili (in quanto non sviluppati) accenni. L’unica rivincita che, probabilmente, Hitchcock si prende è quella relativa allo stravolgimento di Suspicion (che, nel 1941, aveva dovuto subire; vedi): in quel caso era stato costretto a eliminare gli intenti criminali del protagonista (Cary Grant) nei confronti della moglie, rovesciando il senso del testo letterario; questa volta – avendo tra l’altro a disposizione un’attrice esordiente a Hollywood e dunque priva di un’immagine da difendere – può mantenersi fedele al romanzo (almeno in questo) e raccontare la vicenda di una moglie assassina. Certamente proporre una protagonista colpevole è un fatto relativamente insolito negli anni quaranta (lo stesso Hitchcock, però, l’aveva già fatto in Shadow of a Doubt,vedi), ma non è certamente sufficiente a rendere il film un’opera di valore.  
La figura di Anthony Keane, avvocato che smarrisce la propria obiettività professionale al cospetto di una seducente accusata, anticipa vagamente quella del detective Ferguson (James Stewart) di Vertigo (1958), trascinato nel gorgo passionale dall’esperta Madeleine (Kim Novak): in entrambi i casi un uomo debole viene soggiogato dalle trame sensuali di una donna abile e fredda.
In definitiva, come nel caso di Suspicion (e di altri film successivi come Vertigo e Marnie), il nuovo film del maestro inglese banalizza un lavoro letterario e si allinea alle esigenze dell’industria hollywoodiana, un luogo in cui si producono pochi sogni e numerosi tranquillizzanti sonniferi. Questa volta però il pubblico si accorge della pochezza del film e lo snobba, causandone il fallimento commerciale.
Anche The Paradine Case è un testo ancora in attesa di una adeguata trascrizione cinematografica.