Vivere in pace e L'onorevole Angelina

Vivere in pace e L'onorevole Angelina: due favole sociali (1947)

              "La pretesa incompatibilita tra Partito comunista e ceto medio....non esiste”
              (P. Togliatti, Ceto medio e Emilia rossa, 1946)


Nel gennaio 1947 De Gasperi vola a Washington dove viene ricevuto da Truman e dove ottiene un importante prestito a sostegno dell'economia italiana. E' un segno tangibile dell'interesse amricano a sostenere il partito cattolico in prospettiva di una estromissione dal governo delle sinistre filosovietiche. Tornato dagli USA il capo del governo apre la crisi nel tentativo di ampliare la presenza della destra nel suo terzo governo, senza ottenere però risultati soddisfacenti poiche' il PLI preferisce rimanere all'opposizione. Nel nuovo esecutivo esordisce Scelba agli interni (vi rimarrà fino al 1953) la cui vigorosa azione rinnova le forze di polizia, estromettendo migliaia di comunisti infiltrati e sostituendo quei prefetti che avevano dato prova di debolezza.
Di fronte all’esplicito, corposo appoggio (militare ed economico) degli Stati Uniti che ormai considerano la penisola italiana una base strategica per il controllo del Mediterraneo da Gibilterra a Suez (in vista di operazioni verso Oriente e verso l’Africa, nonché essenziale per il mantenimento dell’alleanza con Grecia e Turchia), la propaganda comunista inizia una ridicola campagna di stampo nazionalista (la quale durerà imperterrita fino alla fine degli anni ottanta e la si ritrova poi ancora nei testi di storici filocomunsiti degli anni novanta e duemila; si pensi in particolare a tutta la stagione del cosiddetto eurocomunismo) con la quale pretende di far credere di essere preoccupata per l’autonomia dello stato italiano. Ovviamente analoghe preoccupazioni non investono il partito di Togliatti per l’altrimenti totalitaria politica portata avanti dai partiti “fratelli” al di là della cortina di ferro. Così intorno all’incontro De Gasperi - Truman l’Unità predica nel gennaio 1947: “Non si dimentichi a Washington che il fine supremo della nostra politica estera deve essere la difesa della nostra indipendenza. Non si ceda alla tentazione di vendere l’indipendenza per un piatto di lenticchie”. Le stesse cose ribadiva poco dopo Rinascita, l’organo culturale del PCI, con parole più dure e decisamente paradossali se confrontate, ancora una volta, con quanto stava accadendo nei paesi posti sotto il controllo di Stalin: “la formazione politica giunta al potere attraverso la diretta o indiretta pressione straniera tende inevitabilmente a mantenervisi attraverso la stessa pressione e, un passo dopo l’altro, arriva a perdere il senso della dignità nazionale e dell’indipendenza, e a trasformarsi in un gabinetto di tipo semicoloniale, agente diretto o indiretto di interessi non nazionali”. Tali affermazioni “nazionalistiche”, espresse da chi stenta a difendere l’italianità di Trieste, sono certamente veritiere nella loro sostanza, ma potrebbero tranquillamente riferirsi ai regimi dell’est comunista con la differenza che in quei casi i governi locali, anziché ricevere vigorose pressioni esterne di tipo “semicoloniale”, sono rigidamente controllati da Mosca. Questa è l’Europa di Yalta, l’unica possibile dopo il conflitto mondiale.
La situazone è comunque delicata e documenti della CIA confermano che gli USA operano per mantenere l’Italia saldamente nella sfera occidentale, nonostante le reali, forti pressioni del mondo comunista. Così in una relazione dell’intelligence americana del novembre 1947 si legge: “Le attuali politiche degli Stati Uniti verso l’Italia comprendono misure tese a preservare l’Italia come stato indipendente e democratico, amico degli Stati Uniti e capace di effettiva partecipazione nella resistenza all’espansione comunista”. In una successiva nota del 10 aprile 1948 nei servizi americani si scrive: “il governo De Gasperi è stato rispondente agli obiettivi degli Stati Uniti nel perseguimento delle sue politiche interna ed estera.... ha accettato immediatamente l’invito a partecipare allo European Recovery Program. Ciò è stato fatto in presenza di intense pressioni comuniste e in seguito sovietiche, perché venisse rifiutata l’offerta degli Stati Uniti”. Si opera dunque in un contesto di guerra fredda e appare poco intelligente (e poco onesta) la disamina più volte posta in essere in ogni tempo da storici socialcomunisti ed anche azionisti di un’Italia servile senza motivo verso gli USA, un’Italia sulla quale invece (va sempre ricordato) pendeva la grave e reale minaccia di una vittoria elettorale delle sinistre, di un’insurrezione armata comunista e di un connesso scivolamento della penisola nell’area staliniana, con conseguenze tragiche per il futuro (come dimostra il destino amaro cui andarono incontro tutti, indistintamente, i paesi satelliti dell’URSS).
Intanto l'inflazione tocca la vetta del 50% impoverendo le famiglie. De Gasperi si rende conto che è giunto il momento di affidare il governo dell'economia agli ambienti liberali di Einaudi e alla loro concezione liberista, attuando una svolta incompatibile con la presenza delle sinistre nel governo in quanto temute dalle forze economiche (fughe di capitali) e considerate nemiche dagli americani. Così nel maggio 1947 si perviene a una nuova crisi cui segue il quarto governo de Gasperi (giugno), un avventuroso esecutivo che comprendeva solo forze DC e PLI più alcuni ministri "tecnici". Nella nuova compagine la politica economica deflazionista richiesta da Washington per stabilizzare il valore della lira è affidata a Luigi Einaudi, politica il cui liberismo all'inizio provoca profondo malcontento: i prezzi ora fluttuano liberi e continuano a salire; numerosi sono ovviamente i licenziamenti e la tensione sociale cresce sfociando in numerosi scontri di piazza che culminano con la "presa" della prefettura di Milano (novembre) ad opera di Pajetta alla guida di migliaia di dimostranti comunisti. Scelba però invia l'esercito, pronto a riprendere il palazzo anche con la forza e allora il PCI torna sui suoi passi.
Sul fronte orientale viene sancita la divisione tra Zona A-Trieste sotto il governo degli alleati e Zona B-Istria (con l’eccezione di Pola) sotto quello jugoslavo; il PCI mantiene la propria ambigua politica antinazionale, appoggiando, su ordine di Mosca, le annessioni titine e generando dure polemiche in Italia. Sul fronte sud invece, dopo il successo delle sinistre nelle elezioni locali dell'aprile 1947, la mafia (probabilmente appoggiata da settori dell’Intelligence americana) reagisce duramente appoggiando la criminale strage di Portella della Ginestra del primo maggio: l'attacco della banda di Giuliano a un pacifico comizio del PCI causa undici morti (l'evento sarà al centro di un'approfondita riflessione sia nel capolavoro che apre la stagione del cinema politico italiano, Salvatore Giuliano di Francesco Rosi, 1962, sia nello sconcertante, formidabile Segreti di stato di Paolo Benvenuti, 2003). Per la prima volta nel dopoguerra le litigiose ed estremiste fazioni italiane giungono a utilizzare l'omicidio e la strage di innocenti quali strumenti intimidatori decisivi all'interno della lotta politica, iniziando la tragica galleria dei misteri irrisolti (sono tuttora ignoti i mandanti della strage) della storia nazionale.
L'anno si conclude con la votazione della Costituzione (dicembre) e con l'apparire dei primi frutti della dura politica economica di Einaudi (deflazione, aumento del valore reale dei salari). La DC è divenuta ormai il perno di una vasta allenza anticomunista cui aderiscono progressivamente la Confindustria, il PRI e il nuovo PSLI di Saragat (nato dalla scissione del vecchio PSIUP del gennaio 1947; le correnti guidate da Nenni si riuniscono nella sigla PSI) che si prepara allo scontro finale del 18 aprile 1948.

Dopo Un americano in vacanza, con Vivere in pace (93 min; marzo1947) Zampa firma una seconda, piacevole fiaba intorno alla nuova alleanza tra popolo italiano ed esercito USA (il soggetto originale e' invenzione del regista, di Suso Cecchi d'Amico e di Piero Tellini). Il cineasta romano appare l'esponente piu' impegnato nel propagandare una corrente di simpatia nei confronti dei "liberatori" e in questa pellicola egli perviene a un risultato degno di nota grazie alla bella prova di Aldo Fabrizi, ad una vicenda ben strutturata e a dialoghi scoppiettanti. Possiamo anzi affermare che proprio pellicole come questa iniziano la tradizione della commedia italiana, con i suoi toni lievi ed ironici, strumento importante con il quale esporre, analizzare e criticare la mentalita' italiana la quale nei primi anni quaranta si configura come prevalentemente scettico-attendista, attenta a non compromettersi con le due fazioni estremiste e minoritarie in lotta (fascisti e partigiani), mentre nei decenni successivi, in un contesto meno pericoloso, essa diviene soprattutto cinico-furbesca, pronta ad approfittare di ogni opportunita' legale ed illegale per raggiungere l'agognato benessere.
Zio Tigna e' una delle migliori e piu' sincere rappresentazioni di quella vasta e maggioritaria "zona grigia" del popolo italiano che, animata da naturale ripugnanza per la guerra e da una sana diffidenza nei confronti dei vari ideali propagandati da entrambe le parti in lotta, semplicemente aspetta la fine delle ostilita'. Il bonario protagonista professa una visione pacifica della vita non molto distante da quella esposta con grande successo in quegli anni dal partito politico dell'Uomo Qualunque del commediografo Guglielmo Giannini. Rispetto allo schema riduttivo e manicheo delle due Italie presente in Caccia tragica (o con i fascisti o con i partigiani), il piu' articolato film di Zampa non nasconde l'esistenza di tre Italie, aggiungendo alle due fazioni in lotta la maggioranza silenziosa e attendista. Pur avendo cosi' ristabilita la corretta dialettica storica, il regista sembra poi rimproverare la prudente cautela del simpatico zio Tigna (non a caso e' l'unico italiano a morire), affidando invece alla giovane Silvia il compito di prendere posizione in modo entusiastico in favore dei due fuggiaschi americani; l'amaro finale, con l'improvviso e casuale omicidio del protagonista ad opera di alcuni nazisti in fuga, ribadisce l'odio verso la brutalita' tedesca e l'impossibilita' di "vivere in pace" durante questo conflitto di dimensioni epocali.
Il film di Zampa inoltre, con il suo lodevole appello alla pacificazione e i suoi inediti toni concilianti nei confronti di un certo fascismo moderato (poi ampiamente riciclatosi nella DC), rappresentato da un innocuo segretario locale che trova facilmente accordi con il rappresentante delle sinistre, allude (retrodatandola) all'inizio della lunga era di stallo delle forze socialiste e comuniste, consapevoli che gli equilibri internazionali definiti a Jalta (febbraio 1945) hanno reso definitivamente impossibile un loro accesso al potere in Italia. Tra poco Togliatti, che nella primavera 1946 aveva firmato come ministro della giustizia un provvedimento di amnistia per i fascisti con il quale si era posto fine ad un processo di epurazione impopolare e impossibile (l'Italia era stata fascista per vent'anni...), uscira' addirittura dal quarto governo De Gasperi (giugno 1947) senza troppe proteste. Si affaccia dunque il tempo del dialogo e degli accordi, della collaborazione nella stesura della Costituzione (giugno 1946-dicembre 1947) e delle spartizioni dei poteri: esso durera' alcuni decenni (fino all'era Craxi) e trovera' numerose altre "traduzioni" cinematografiche, dai film tratti dai noti romanzi di Guareschi (Don Camillo, Duvivier 1952) fino a Novecento (Bertolucci 1976) e a Cadaveri eccellenti (Rosi 1976).
Vivere in pace costituisce uno dei maggiori successi popolari della cinematografia italiana del dopoguerra: oltre che nella penisola il film ottiene un clamoroso successo in tutta Europa, riscuote il premio della critica a New York (1947) e viene esportato perfino in Australia e Nuova Zelanda.

La pellicola si compone di tre parti: i giovani e i fuggiaschi; la "festa" notturna; l'alba incerta. Durante la primavera 1944 in un paese isolato tra i monti laziali il drammatico divenire della Storia e' percepito come un evento lontano; qui fascismo e socialismo si affrontano bonariamente, maschere appena accennate prive di fanatismo e, nel momento della necessita' (la tragedia annunciata nel finale), pronte ad accordarsi. La prima sezione ha carattere disteso e quasi favolistico con i due giovani nipoti del protagonista che scoprono nascosti nel bosco i soldati americani Ronald e Joe e decidono di aiutarli senza dir nulla alla famiglia. La serena pittura della vita rurale ricorda l'armoniosa e latrettanto fiabesca comunita' presente in Quattro passi tra le nuvole (Blasetti, 1942).
Il clima diviene piu' serio nella parte centrale: ora l'amabile zio Tigna, pur temendo le gravi conseguenze del suo gesto, decide di dare asilo ai due "nemici", cerca di sviare le preoccupanti attenzioni del segretario fascista e fraternizza con i nuovi arrivati mentre, ovviamente, un sentimento amoroso sembra nascere tra Ronald e Silvia. Gli americani sono gioviali e comprensivi laddove il tedesco preposto al controllo del piccolo paese e' delineato all'inizio come un inflessibile nazista. La scena della festa notturna, un piccolo capolavoro che sa abilmente fondere accenti comici e seri, inizia con quest'ultimo che, inopportunamente giunto a far visita al terrorizzato zio Tigna, beve fino a divenire insolitamente allegro e loquace; prosegue con l'imprevisto suo stringere amicizia con Joe, il soldato negro il quale uscito di colpo dal suo nascondiglio, si rivela essere piu' ubriaco di lui: insieme, in un crescendo esilarante, i due mettono a soqquadro il paese, tra spiritose improvvisazioni jazzistiche alla tromba e marce di bersaglieri, creando l'illusione che la guerra sia finalmente finita. In una sequenza che costituisce l'evidente Hohepunkt dell'intera pellicola, tutti festeggiano entusiasti sotto gli occhi preoccupati del protagonista e del parroco. Compreso l'inganno l'intera popolazione lascia il piccolo paese temendo le reazioni catastrofiche delle SS alla notizia che un soldato americano ha trovato asilo in quelle povere case.
La lunga attesa trasforma definitivamente il clima lieve e festoso in angosciato: dalla collina la popolazione attende il segnale del parroco, figura chiave emblematica dell'importanza delle salde strutture cattoliche nell'Italia smarrita di quegli anni, le uniche effettivamente pronte ad ereditare la gestione del paese dopo sfascio della guerra e il connesso dissolvilmento del PNF. La parte finale riserva nuove sorprese: gli alleati stanno arrivando ed anche il tedesco, una figura sostanzialmente simpatica e come tale insolita nel panorama cinematografico del periodo (con l'eccezione del tedesco trafficone di Due lettere anonime, Camerini 1945) si rivela anch'egli un "uomo qualunque" desideroso di pace: egli implora zio Tigna di dargli un abito civile per fuggire e nascondersi ma l'arrivo di una pattuglia di fanatici nazisti (disumanizzati mediante le consuete, esclusive inquadrature in campo lungo), esemplari figure di portatori di morte rispettose dell'iconografia ricorrente, cancella ogni speranza di lieto fine; il tedesco e zio Tigna cadono uccisi. La sequenza possiede una sua concisa forza espressiva, resa maggiore dal suo irrompere in un contesto (fino a poco prima) scanzonato e giocoso. Le ultime sequenze, illustrazione insistita della morte del protagonista che crede nel futuro matrimonio di Silvia e di Ronald, sono un palese e sospiroso cedimento alla ricerca dell'effetto lacrimevole.
La colonna sonora di Nino Rota delude: seppure a contatto con una materia umana certamente vicina alla sua poetica, il compositore ripiega su anonimi stereotipi ovvero archi per le vicende sentimentali, un motivetto marziale per il tedesco, generiche forzature e sincopi per il dramma finale. Ciononostante nel suo complesso il lavoro e' tra i migliori di Zampa per equilibrio, rapidita' narrativa, galleria credibile e sfaccettata di figure umane e sincera prtecipazione alla disgraziata sorte del protagonista. Privo delle seriose pesantezze del coevo "neorealismo" rosselliniano e desichiano, Vivere in pace rappresenta un ritorno allo stile tradizionale del racconto cinematografico (attori professionisti con l'eccezione dell'ingegnere chimico John Kitzmiller nel ruolo di Joe, sceneggiatura definita nei dettagli, struttura narrativa ad arco ovvero preparazione, crescendo, apice e scioglimento), stile il quale riesce a comunicare con diretta e ammirevole semplicita' la tutt'altro che banale sostanza del racconto e a mantenere invariata nel tempo la godibilita' della pellicola.

Sempre nel 1947 esce un secondo film di Zampa, L'onorevole Angelina (95 min), presentato in settembre alla mostra di Venezia. La ricetta e' la medesima di Vivere in pace: una sfondo sociale complesso come la povera borgata romana di Pietralata, un protagonista assoluto affidato a un attore popolare (e' il turno della Magnani, premiata a Venezia quale migliore interprete), uno svolgimento classico e ben strutturato (anche qui preparazione, tensione crescente, apice e scioglimento) e una palese intenzione propagandistica. Inoltre, ancor piu' che nella pellicola precedente, l'intenzione documentaria lascia presto il posto alla fiaba, con spunti che anticipano addirittura Miracolo a Milano (De Sica, 1951). Anche questa volta il pubblico accorre in massa, decretando un nuovo clamoroso successo.
Gli sceneggiatori Piero Tellini, Suso Cecchi D'Amico e il regista, gli stessi del film con Fabrizi, raccontano l'ascesa e la caduta della capopolo Angelina la quale, al culmine della sua popolarita', anziche divenire onorevole preferisce rinunciare ad una movimentata carriera politica per tornare in famiglia e dedicarsi ai suoi cinque figli. Aderendo alla visione egemone nella prevalente corrente cinematografica di denuncia sociale, l'autore ritrae la gente misera tra la quale agisce la protagonista con intensa simpatia mentre bottegai, costruttori, poliziotti, giornalisti e politici appaiono come una massa indistinta di farabutti, alla faccia delle concilianti dichiarazioni di Togliatti sulla compatibilita tra marxismo e ceto medio. Lo schema manicheo, funzionale a portare voti al fronte delle sinistre (l'ora decisiva, il 18 aprile '48,  si avvicina), tuttavia genera una commedia gradevole e ben recitata perfino dalla generalmente monotona Magnani. La love story tra Francia, la figlia di Angelina e Fabrizio, il figlio del capitalista Garrone, la fuga sdegnata del ragazzo e la svolta finale, con il bieco costruttore commosso che assegna (ovvero regala) i propri nuovi e preziosi appartamenti alla gente delle baracche, appartengono al genere della favola edificante e sospirosa alla Frank Capra. Ancora una volta un film della famiglia "neorealista" ad un'analisi concreta si rivela poco piu' di un sogno ad occhi aperti. In fondo neorealismo e' un'etichetta che ha ben poco a che fare con una seria e spregiudicata intenzione realistica; essa indica invece un cinema rigidamente ideologico, impegnato a nobilitare le classi sociali meno fortunate e meno capaci al fine di portarle al centro dell'attenzione politica cosi' da porre automaticamente in risalto le forze politiche impegnate a sostenerle e rivendicarne i diritti. Non e' certo per caso che nella sequenza dell'alluvione la mdp, insieme alle molte povere cose, inquadri anche una sede del PCI in una sorta di pionieristico spot elettorale, mentre il fiducioso "inno" a Stalin "A 'da veni baffone" risuona piu volte nel corso della pellicola, divenendone uno dei leitmotiv. Ne' manca la sottile accusa al ventennio fascista di avere provocato miseria con la sua campagna demografica: se Angelina ha cinque figli la colpa ovviamente e del duce e di suo marito che l'ha obbligata a farli per ben figurare alle adunate del regime. Cosi tutti i pezzi del puzzle vanno a posto.

La pellicola apre e chiude con un medesimo pianosequenza, il primo in entrata nella popolosa baracca di Angelina, il secondo in uscita: Zampa si intrufola silenzioso nella vita quotidiana di gente qualunque, la coglie in un momento qualsiasi e inizia in tal modo a raccontarla; questo sembra essere il significato del ricercato vocabolo linguistico posto quale prologo ed epilogo del film. Ben presto pero' scopriamo che il temperamento battagliero della protagonista la differenzia e la rende un personaggio di spicco e una leader naturale. La storia inanella, in un calibrato e prevedibile crescendo, gli scontri tra le donne guidate da Angelina (ovvero piccolo angelo: anche la scelta del nome e' significativa, alludendo ad una lotta tra Bene e Male, Luce e Tenebre) e i numerosi "affamatori" e sfruttatori del popolo, culminando nell'occupazione delle case del ricco e malvagio Garrone. Senonche' l'ingenua donna si lascia convincere ad abbandonarle dopo aver ricevuto alcune promesse generiche. Quando poi si rende conto che il costruttore semplicemente tenta di corromperla e di decapitare cosi' il movimento contestatore, Angelina, nella sequenza culminante, tenta di spingere nuovamente i compagni a rioccupare gli appartamenti, avanza sola contro la polizia e finisce in galera.
Fino a questo punto il film, pur rispettando gli stereotipi dell'ideologia socialista (tutti malvagi tranne i poveri; gelidamente disumani ed ipocriti i benestanti, dotati di una calda, solidale umanita' i diseredati), possiede un suo taglio di cronaca realistica e di preteso documentarismo; allorche' invece diviene consistente la trama amorosa tra Francia e Fabrizio, novelli Romeo e Giulietta, con seguente fuga del ragazzo e generoso regalo degli appartamenti ad opera del padre che recupera cosi' la pace familiare (svolta narativa che, inserendo l'elemento amoroso quale elemento capace di conciliare fazioni opposte e produrre gesti magniloquenti, risulta debitrice alle inverosimili consuetudini librettistiche del teatro d'opera), precipitiamo in una favola sociale inconsistente e un po' cialtrona. Il ritorno alla quiete domestica di Angelina ristabilisce parzialmente la credibilita' del racconto.
Ritmo rapido, dialoghi vivaci, ottima ambientazione, alcune finezza di scrittura (i pianosequenza, alcuni intensi primi piani della Magnani), buona recitazione di tutti (come quasi sempre nei film riusciti del periodo si tratta di attori professionisti, smentendo le inutili discussioni teoriche sulle pretese grandi doti di spontaneita' e veridicita' di interpreti dilettanti, invano sottratti alle proprie professioni e scaraventati sul set), rendono l'Onorevole Angelina una pellicola tuttora godibile, sebbene priva della delicata grazia che animava Vivere in pace.

                                                                                            

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